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Catuzzi vuol dire magia. Tutto cominciò 41 anni fa

 
Davide Lattanzi

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Davide Lattanzi

Catuzzi vuol dire magia. Tutto cominciò  41  anni fa

Enrico Catuzzi

L’esordio il 6 maggio del ‘79. Regalia: «Un rivoluzionario». La serie A sfiorata con una banda di ragazzini cresciuti nel settore giovanile e un allenatore che era 30 anni in avanti

Mercoledì 06 Maggio 2020, 12:02

BARI - Quarantuno anni fa nasceva una leggenda. Quella di un allenatore che avrebbe cambiato la storia del calcio e creato la squadra forse più amata dai baresi. Enrico Catuzzi ha debuttato sulla panchina del Bari il 6 maggio 1979, battendo 1-0 il Palermo, con un gol di Costante Tivelli. Non aveva ancora 33 anni il tecnico originario di Parma che pure riuscì, in poche giornate, a portare i galletti ad una difficile salvezza. L’allenatore emiliano veniva dalla Primavera biancorossa: un gruppo di ragazzi terribili che ha poi condotto alla conquista della Coppa Italia nel 1981, quando nuovamente fu chiamato in soccorso della prima squadra con la quale centrò un’ulteriore salvezza guadagnandosi la conferma per il torneo successivo che dette vita all’indimenticabile Bari dei baresi che nel 1981-82, proprio con l’anima costituita dai ragazzi provenienti dal vivaio (la gran parte nata nel capoluogo pugliese) sfiorò una clamorosa promozione in serie A. Il direttore sportivo all’epoca era Carlo Regalia che con affetto ricorda «un uomo rivoluzionario», come lo definisce il manager di Gallarate, pilastro della storia biancorossa.

«Lo prendemmo dal Palermo per essere un punto di riferimento del settore giovanile, su segnalazione di Mario Santececca. Eravamo in crisi profonda e decidemmo di sostituire il tecnico Giulio Corsini. Non avevo dubbi sul fatto che Enrico si sarebbe fatto trovare pronto: è stato un vero innovatore, senza dubbio il primo a praticare il gioco a zona. Per certi versi, davvero la favola del Bari dei baresi nacque quel sei maggio di 41 anni fa».

Poi tornò alla Primavera.

«Stava svolgendo un lavoro straordinario. Arrigo Sacchi è stato considerato il pioniere di un calcio che Enrico attuava già: basti pensare che Sacchi veniva da Rimini a seguire il lavoro di Catuzzi. Nel 1981 lo richiamammo al posto di Renna e centrò un’altra permanenza in B in un frangente complicato. Poi decidemmo di puntare tutto sui giovani, dando vita a quella squadra ancora oggi così amata dai baresi».

Che aveva di speciale Catuzzi?

«È stato il primo ad applicare l’organizzazione al calcio. Aveva un’idea di gioco basata sul movimento senza palla, sulla corsa, sull’intensità: parole puntualmente abusate nel calcio di oggi. Si parla molto di allenatori in grado di conferire un’identità: lui ci riusciva 40 anni fa».

Cosa frenò la sua carriera, il carattere introverso?

«No, Enrico era una persona riservata, ma vera e leale. Sapeva farsi amare dai suoi ragazzi. In molti di loro ha lasciato una traccia indelebile. La verità? Non è stato capito. Era davvero troppo avanti per quei tempi e per un calcio che si sarebbe evoluto soltanto successivamente. Gli è mancata la grande occasione e l’avrebbe meritata. Nel calcio serve anche la qualità ed il suo Bari ne aveva. Se avesse potuto guidare una squadra di A con buone doti tecniche, avrebbe ottenuto risultati sensazionali. Ma l’amore per quel suo Bari, seguito da oltre 20mila persone a partita e passato alla storia, è qualcosa che resterà per sempre».

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