Layla ha le mani ustionate e non può giocare. Le lacrime le rigano il viso. Mentre intorno altri bambini scartano i pacchi - confezionati dai volontari di Medici senza Frontiere - lei resta lì immobile nella sua disperazione. È la fine del ramadan e anche a Gaza si cerca un momento di normalità ma le ferite della guerra sono troppe. E poi ci sono Amina, Reem e Ahmed con i polsi attraversati dalle lame. Hanno tentato di togliersi la vita per fuggire agli orrori. Queste sono solo alcune delle immagini che scorrono da tanti mesi davanti agli occhi di Davide Musardo, classe ‘81, originario di Galatone. Psicologo clinico, specializzato in psicoterapia, lavora da anni per l’associazione umanitaria come responsabile della salute mentale. È stato in Iraq, Yemen, Sud Sudan, Turchia. Fino a qualche mese fa era in Giordania come referente della salute mentale per l’intera regione del Medio Oriente. Da settembre vive e lavora a Nablus, in Cisgiordania, come coordinatore delle attività di salute mentale in Palestina. Ha visto morte e paura. Famiglie spezzate e bambini ai quali è stata strappata l’infanzia. Oggi dopo settecento trentacinque giorni, a Gaza restano i segni brutali della guerra.
Qual è la situazione dopo lo scorso 10 ottobre?
«C’è un lieve miglioramento. I banchi del mercato sono tornati a vendere frutta e verdura. Ma i costi continuano ad essere alti. Gli aiuti umanitari, da cui dipende la sopravvivenza della popolazione, continuano a entrare in quantità meramente simboliche. Qualche giorno fa solo due camion di Medici senza frontiere sono riusciti a passare ma è necessario intensificare gli ingressi. Qui la situazione resta drammatica. E non solo per gli aiuti umanitari che stentano ad arrivare…».
A cosa si riferisce?
«Gaza è una terra da ricostruire. La gente è spaventata...