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Mezzo secolo di Fantozzi Gogol, Cecov, Putin

 
Pasquale Bellini

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Pasquale Bellini

Paolo villaggio

Domenica 18 Maggio 2025, 18:35

Fantozzi (o Fracchia) versus Putin. La sfida (immaginaria e bellissima) si sviluppa, come la trama di una sceneggiatura, nella mia fantasia perversa: specialmente perché non assegno tanto il ruolo di Fantozzi-Fracchia che fu del grande Villaggio al prevedibile Zelenski (che pure col suo passato di attore sarebbe ben in grado di sostenerlo!) quanto accarezzo l’impulso di assegnare la parte del sadico capufficio, quella che fu dell’impareggiabile Gianni Agus (vedi la serie televisiva del ‘75 su Fracchia) al gelido Vladimiro Putin, al suo implacabile aplomb luciferino. Tutto ciò anche pensando ai cotanti precedenti, illustri e letterari, che la Grande Madre Russia ci consegna in tema di burocrazie spietate e insieme grottesche, vedi Gogol con i suoi grandiosi e miserabili personaggi (nel Cappotto o ne Il Naso) succubi e vittime di nomenklature tanto feroci quanto immanenti con i loro kapo: sono infatti i capuffici (noi con Totò diremmo i caporali) quelli che invadono i nostri territori di tranquillità e di pace. Ci bombardano da vicino e ci feriscono, i capuffici, i caporali, gli ex agenti del Kgb, assai più dei Conti-Duca, dei Presidenti Megagalattici dal loro remoto empireo/superattico, laddove nel mitico acquario nuotano, muti, gli impiegati.

Croce e delizia (al cuor!) degli anniversari. Sono cinquant’anni dal primo film di Fantozzi (1975) con regia di Luciano Salce; è dell’anno dopo, 1976, il secondo Fantozzi, sempre diretto da Salce, dove la goduria diventa leggenda con la frase di Fantozzi, scolpita nel bronzo, «Per me la Corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca», pronunziata dal ragioniere durante il famigerato Cineforum. Trovato! Eccolo lì, accidenti, il trait-d’union tra Fantozzi e la Russia, tra Fantozzi e Putin volendo: a proposito di anniversari, ecco infatti che sono 120 anni dal 1905, proprio l’anno della rivolta dei marinai del Potëmkin nel porto di Odessa (!), con i vermi nel rancio, la repressione della rivolta, la scalinata, la carrozzina, l’occhio della madre, ecc. ecc. tutte cose che il film di Sergej Ejzenstejn magistralmente mette in pellicola per i futuri ammiratori, nei cineforum impegnatissimi e di sinistra, per ragionieri e non.

Fantozzi e i suoi film, non tutti lo sanno, piacquero molto e molto circolarono, fra gli anni ‘70 e ‘80, in Unione Sovietica. Lo raccontò spesso Paolo Villaggio, in alcune interviste: le pellicole con Fantozzi godevano dell’avallo esplicito del Ministero della Cultura, che così intendeva promuovere, in Urss, il disgusto e il ridicolo sulla condizione di sfruttamento e di annichilita subordinazione (nell’Occidente capitalista) dei lavoratori sotto il giogo delle multinazionali e dei loro “padroni”. Dimenticavano, i burocrati brezneviani dell’epoca, la grande tradizione, tutta interna e tutta russa, di sberleffo versus la burocratja che dopo Gogol e poi Cechov, si era avvalsa di penne quali quelle, pur sempre “antisistema”, di Majakovskij, di Babel, di Bulgakov. Erano poi sicuri, i signori del Minculpop, che gli spettatori russi che ridevano delle disavventure di Fantozzi in Occidente, non vi sovrapponessero le proprie, di disavventure, ben quotidiane e presenti nell’universo concentrazionario sovietico?

Certo si è, lo raccontano le cronache (et Villaggio dixit) che quando per esempio il film Il secondo tragico Fantozzi era proiettato in Russia e si arrivava all’episodio fatidico del Cineforum, della Corazzata Potëmkin e della celeberrima frase di Fantozzi, ebbene pare che davvero si scatenassero nelle platee sovietiche applausi irrefrenabili. Per dire, come spesso si verifichi un’eterogenesi dei risultati, rispetto ai fini preventivati.

Ed ecco, dall’improbabile Fantozzi/Fracchia versus Putin, un piano-sequenza: Fracchia/Fantozzi (ma è lui o è Zelensky?) si sprofonda riverso sulla poltrona-sacco (roba di design!) capovolgendosi e rotolando verso la scrivania, dove siede e ghigna feroce il cav. dott. Acetti/Agus (ma è lui o è il cav. dott. Putin?) il quale mentre traguarda l’avversario si accinge a tagliare il suo sigaro nel trancia-sigari a forma di ghigliottina sul piano della scrivania, ma sbaglia e infila il dito medio nell’apposito foro, tranciandoselo così di netto. Vittoria (in una comica, per una volta!) della vittima e non dell’aguzzino.

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