L’eredità di Luca Ronconi, anche audiovisiva, se consideriamo l’exploit televisivo del 1975 con il film “Orlando furioso”, quando si chiamavano sceneggiati, si misura nel tempo attraverso i suoi allievi migliori. E qui il titolo di eccellenza spetta senza dubbi a uno dei maggiori attori italiani contemporanei oltre che regista teatrale di assoluto rilievo, Fausto Russo Alesi, tra lo schermo e la scena con rigore ed esiti da manuale. Al cinema è ormai una presenza fondamentale nell’opera di Marco Bellocchio, in cui spiccano il Giovanni Falcone de Il traditore e il Francesco Cossiga di Esterno notte, per il quale il non avergli assegnato il David di Donatello è stata una gravissima mancanza. Ma la sorpresa ulteriore verrà di sicuro dal film che con Bellocchio sta crescendo di anno in anno, Se posso permettermi, pirandelliano e cechoviano a un tempo, che segmento/cortometraggio dopo l’altro (siamo a quota due di tre complessivi) vedrà tra qualche anno la luce con Russo Alesi protagonista.
Ci sono poi i ruoli cardine del padre nei Sei personaggi in cerca d’autore ne La stranezza di Roberto Andò, altro cineasta di riferimento di Russo Alesi, senza contare la figura inquietante dell’opaco e invisibile agente Z, Guido Giannettini, che dentro il disegno oscuro della strage di Piazza Fontana gioca un ruolo chiave in Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana.
Ma nel disadattamento dei capolavori di Eduardo De Filippo sta l’ulteriore chiave di volta e la principale lezione di stile, perfezionismo e ricerca inesausta proveniente dal dir/actor Russo Alesi, il quale si porta dentro corde serie, civili e pazze congiunte, tali da entrare da Pirandello in circolo e toccare sempre punte impressionanti, da Shakespeare a Dostoevskij, senza soluzione di continuità. Lo spettacolo come arte trasversale e sofferta, contemperando cinema e teatro, è la forza che rende uno studioso dell’uno ma non dell’altro ambito disarmato di fronte alla potenza di Russo Alesi come regista di Natale in casa Cupiello, dove da solo intrepreta tutti i personaggi in un monologo allucinato e geniale che trascende la misura di De Filippo.
Per non parlare del capolavoro da regista che Fausto Russo Alesi porterà ancora in scena tra Correggio e Bergamo a marzo, ovvero L’arte della commedia, in cui l’indignato prototipo di De Filippo si trasforma in manifesto aperto, oggi e non solo come effetto collaterale del vicino/lontano 1964, dello stato terrificante dello spettacolo tutto e dell’arte in Italia e sul pianeta. L’affondo di questo memorabile spettacolo, che a Bari e in moltissime piazze del sud purtroppo non è ancora arrivato, ad eccezione di Napoli, consiste nella denuncia di una situazione insostenibile, con la voce disperata eppur tagliente del capocomico Oreste Campese, circondato da altri memorabili “personaggi” in cerca di un riconoscimento civile e culturale o che lo osteggiano, stretti tutti, “ciascuno a suo modo”, in una morsa tragicomica, crudele, ammonitrice.
La forza di Russo Alesi sul palcoscenico, dietro le quinte o in campo davanti alla macchina da presa, desta sconcerto e induce a interrogarsi quanto cinema e teatro rispetto alle sue performance sferzanti non tengano il passo. Colpisce in un panorama trasversale e modesto di film e spettacoli, ma anche letture e espressioni artistiche a vario titolo, quanto l’insostenibilità d’insieme abbia preso il sopravvento. Nel sistema disfunzionante di vasi comunicanti scenici e filmici la presenza eloquente, discreta e potente a un tempo di Russo Alesi, palermitano di nascita e milanese d’adozione, va in controtendenza, quale costante, pericolosa e utile partita, degna del magistero a monte di Ronconi. Vedere e rivedere Russo Alesi riscrivere De Filippo, o Turgenev in Padri e figli, tanto quanto recitare a soggetto per Bellocchio, Giordana e Andò, è per ogni spettatore in grado di cogliere il conguaglio continuo tra messa in scena e in campo un’esperienza irripetibile.