«Quando verrai sarò quasi felice», scrive Moravia a Elsa Morante. Di che cosa parliamo se non di lettere d’amore. La generazione dei quarantenni d’oggi è forse l’ultima seduta sul baluardo delle lettere d’amore, quelle che – come ha cantato Vecchioni riprendendo Pessoa - «Le lettere d’amore, quando c’è l’amore, per forza fanno ridere». Eppure esistono lettere d’amore intramontabili.
Sono diversi i libri di cui si potrebbe parlare, ma un ottimo spunto è certamente il volume edito dal «Saggiatore», con la prefazione di Massimo Onofri, «Lettere d’amore. Carteggi di scrittori del Novecento». Questo sarà solo il nostro punto di partenza, ma non solo. Scrive Onofri: «Quello dell’amore è, in effetti, un discorso impossibile: non può essere analizzato, ma solo enunciato».
Quante volte ci siamo rivisti nelle parole di Remarque, che – nel ’37 – scrisse a Marlen Dietrich:«Mi manchi terribilmente, mi sforzo di non pensare a te, di non pensare a quel buio, a quella volta che arrivai da te e tu volasti dal buio fra le mie braccia». E non mancano, nelle lettere d’amore dei grandi, neanche frasi maliziose o al limite della presunta volgarità, pensando, ad esempio, a Joyce mentre scrive alla futura moglie Nora agli inizi del secolo scormoso. Inutile arrovellarsi in definizioni: masochismo, feticismo, attaccamento morboso… Qui c’entrano poco.
E da Praga, Kafka che dice, nel 1920, «Milena, Milena, Milena - non riesco a scrivere nient’altro». E Montale a Margherita Dalmati? «Mia amatissima – scrive nel ’68 – comincio l’anno con te. C’è un po’ di neve, ho cambiato casa […] Non ti ho più scritto per tante ragioni che intuisci. E poi c’era con te uno che mi somiglia, più bello (ci vuol poco) e più intelligente. Ne ero infelice e magari felice (per te). Ma tu continui a essere per me mia madre, mia figlia, mia moglie e persino la mia amante». In un bell’articolo, scrive la studiosa Alessandra Cenni rispetto a questo carteggio: «Queste 59 lettere, che ci offrono preziose informazioni sui significati sottesi e le circostanze adombrate in molti testi poetici montaliani, sono state rinvenute in una busta con dicitura di pugno della poetessa, e sono datate dal 1956 al 1974. Sono all’interno delle buste ‘air-mail’, dattiloscritte su carta intestata del «Corriere della sera» con qualche aggiunta a penna, firmate ‘Eugenio’ o ‘Agenore’: il nome del mitico re fenicio di Tiro, di cui parla Erodoto, che fu padre di Europa. Finora, non sono state ancora reperite le lettere della Dalmati, che probabilmente il poeta ha distrutto come quelle di altre sue destinatarie». Margherita per lui è il «daimon» dell’Ellade, che lo accompagnò alla scoperta di Delfi e della poesia greca contemporanea. Quasimodo poi scrive a Curzia Ferrari dal Messico: «Aqui Mexico. Viaggio lunghissimo, come quello di Ulisse. Ho avuto il tuo saluto da Chianciano. E dov’è Chianciano? Dell’Italia ricordo soltanto Curzia».
Due studiosi siriani, invece, alla fine degli anni ’70, hanno pubblicato, per la prima volta, le lettere innamorate di Gibran, che fino agli ’30 erano rimaste confinate solo in piccoli florilegi. Gibran, con discrezione, scrive a Mayy Ziyadahh, intellettuale orientale, ma le sue parole sono quasi volontariamente filtrate, proprio per non rinunciare a un legame metafisico con l’amore. Gibran allude a un legame che può unire due anime, come fili, fino alla tomba, anche allontanando la sensualità dei corpi.
E non c’è meno amore in Virginia Woolf che scrive a Vita, pur mettendoci più desiderio. In quel momento la Woolf ha quarant’anni. Insieme al marito Leonard dirige una casa editrice, la «Hogarth Press», e il suo nome comincia a essere noto. Sta lavorando alla «Signora Dalloway», che la consacrerà come una delle scrittrici più rivoluzionarie e apprezzate del suo tempo. Al suo diario confida di sentirsi vecchia, ma ha appena incontrato la donna che diventerà il suo più grande amore, Vita Sackville-West. Vita ha trent’anni.
Non manca neanche l’ironia nelle lettere d’amore, o per meglio dire di «non amore» di Sklovskij per una donna che gli ha dato tre incarichi “importanti”: non vedersi, non telefonarle, non scriverle lettere d’amore. E lui le scrive di continuo, quasi ogni giorno, parlando della sua Russia, di Cristo e di Don Chisciotte. “Quel desiderio insistente che vuole che ti chiami”