Disposto il carcere per Leonardo Russo, diciannovenne foggiano e Erjon Rameta, 37 anni, albanese da tempo residente in città, coinvolti in passato in attentati dinamitardi compiuti con metodo mafioso, arrestati in flagranza il 14 luglio e posti inizialmente ai domiciliari con l’accusa di detenzione, porto illegale e ricettazione di una pistola Beretta calibro 7.65 con 5 proiettili nel caricatore e i numeri di matricola limati.
L’ha deciso ieri il gip Marialuisa Bencivenga accogliendo la richiesta del pm Giuseppe Mongelli di mandare in carcere i due indagati che 24 ore prima negli interrogatori di convalida (come già scritto nell’edizione di ieri ndr) si erano avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande del giudice. L’avv. Fortunato Rendiniello chiedeva che Russo rimanesse ai domiciliari; il legale di Rameta che venisse scarcerato perché gli investigatori non hanno potuto indicare chi dei due sospettati si fosse disfatto della pistola.
Anche il passato giudiziario ha inciso nella decisione del giudice di disporre il carcere. Russo fu fermato dalla squadra mobile il 17 febbraio 2022 quand’era minorenne, in un’indagine della Dda con l’accusa d’aver piazzato un mese prima una bomba davanti al pub Poseidon alle spalle della Cattedrale. Rameta finì in cella il 15 aprile 2022 quando fu fermato ancora dalla squadra mobile su decreo della Dda, ed è stato scarcerato recentemente dopo una condanna a 6 anni per aver piazzato a novembre 2019 un ordigno davanti al locale Poseidon e nel gennaio successivo davanti a un centro diurno per anziani gestito dal gruppo Telesforo-Vigilante, oggetto di una campagna di avvertimenti mafiosi con ben 5 attentati in un anno.
Perché Russo e Rameta giravano armati a bordo di uno scooterone e calzando caschi integrali? A questo interrogativo dovranno dare risposta Procura, poliziotti e carabinieri. I due, intercettati lunedì mattina in via D’Orso da una volante, avevano parcheggiato il mezzo per entrare in uno stabile di via La Piccirella, dove l’unica persona presente era un malavitoso a sua volta ritenuto vicino ai clan della “Società”, ed estraneo alla vicenda. Nel fuggire a piedi verso i piani superiori Rameta o Russo - dice l’accusa - avevano buttato la pistola nelle scale, recuperata dagli agenti che avevano sequestrato anche caschi, scaldacollo, guanti e chiavi dello scooterone.
Il gip ha concordato col pm e ritenuto che solo il carcere può garantire le esigenze cautelari “e spezzare ogni tipo di collegamento tra i due indagati e il contesto criminale in cui sono sicuramente inseriti”. Per il giudice sussistono sia il pericolo d’inquinamento delle prove “perché appare verosimile che Russo e Rameta detenessero l’arma per conto di terze persone o dovessero consegnarla a qualcuno, per cui per eludere le indagini potrebbero concordare una versione di comodo”; sia il rischio di reiterazione “con la commissione di gravi delitti con l’uso delle armi, perché i fatti dimostrano l’inserimento dei due indagati in un tessuto altamente criminale, e considerate anche la loro personalità” con riferimento ai precedenti problemi con la Giustizia.