Ancora una volta le carceri italiane finiscono sotto le lenti della magistratura, questa volta quella contabile. La Corte dei Conti, nella relazione dedicata alle infrastrutture carcerarie, ha stigmatizzato le condizioni drammatiche in cui versa il sistema penitenziario italiano, del tutto incapace di assicurare gli standard costituzionali e internazionali sulla pena. Il sistema penitenziario è oggi dunque illegale.
La Corte identifica nella mancanza di una pianificazione strategica l’attuale crisi del sistema penitenziario che prova, senza riuscirci, a rincorrere in forma emergenziale la crescita della popolazione detenuta. Nonostante i tanti piani carceri e i tanti commissari straordinari che si sono succediti nel tempo, nonostante tutti i soldi spesi e le parole al vento sulle nuove carceri da costruire, oggi ci sono circa quindicimila persone in più rispetto ai posti realmente disponibili. Ciò significa che le persone dormono a volte per terra, a volte al terzo piano di un letto a castello.
La Corte dei Conti, negli ultimi anni, ha più volte ricordato ai vari Governi che non è con mirabolanti e costosi piani edilizi che si affronta la questione carceraria. La storia italiana dell’edilizia penitenziaria è una storia di corruzione, inefficienze, sprechi. Due esempi del passato sono paradigmatici. Era la fine degli anni ’80 del secolo scorso, quando prima di tangentopoli scoppiò lo scandalo delle carceri d’oro che portò a non pochi arresti. All’inizio del nuovo millennio ci fu poi la costituzione da parte del ministro leghista Castelli di una società che avrebbe dovuto occuparsi delle carceri nuove, la Dike Aedifica, definita una società fantasma, negli anni a seguire, dalla stessa Corte dei Conti. Lo scorso agosto il Governo ha approvato un decreto nel quale è comparsa la solita norma propagandistica sull’edilizia penitenziaria. Fu stanziato oltre un milione e cento mila euro per finanziare la nuova struttura commissariale per l’edilizia carceraria. In questi mesi è stato solo proposto un container per 384 persone detenute dal costo complessivo di ben 32 milioni di euro, dunque oltre 83 mila euro a posto letto.
Posto che qualunque luogo adibito a carcere deve avere spazi conformi alla legge sia per la vita notturna (celle individuali conformi agli standard abitativi) che per quella comunitaria diurna (scuole, spazi aperti per socialità e sport, infermerie, cucine, laboratori), i costi andranno inevitabilmente a salire anche perché, salvo che non si punti all’autogestione (che è anche una opzione), bisognerà assumere il personale educativo, direttivo, di Polizia, medico, socio-assistenziale. Per rispondere alle esigenze del sistema penitenziario attuale, visti i numeri, ci vorrebbe, perciò, più di un miliardo di euro.
Un detenuto affidato ai servizi sociali, nonché impegnato in attività di lavoro o studio fuori dal carcere, costa circa venti volte di meno e ha un tasso di recidiva almeno quattro volte più basso. Dunque, per la sicurezza pubblica e per le tasche degli italiani sarebbe più appropriato prevedere per i detenuti condannati a pene brevi sanzioni diverse dal carcere. E pura propaganda affrontare il tema del sovraffollamento promettendo la costruzione di nuove carceri o di riadattare ex caserme. Di fronte a persone costrette a vivere in luoghi malsani, a spazi inesistenti, a una pena che si è trasformata in una punizione illegale, bisognerebbe affidarsi alle parole e alla saggezza di papa Francesco che ha sempre sollecitato per i detenuti umanità, clemenza, misericordia. Alla sua grandezza non si risponda con la propaganda dell’edilizia, ma con il coraggio di scelte dirette a ridurre la popolazione reclusa. Il carcere è oggi un luogo di reclusione delle povertà diffuse, di persone con problemi psichici, di tossicodipendenti. Di loro, in un mondo ispirato a ragionevolezza e solidarietà sociale, si dovrebbe occupare il sistema del welfare e non quello della repressione.