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Altro che «non fa per me»: cari ragazzi, il futuro passa dalla matematica

 
Pino Donghi

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Pino Donghi

Altro che «non fa per me»: cari ragazzi, il futuro passa dalla matematica

In Italia, la percentuale di laureati tra i 30 e i 35 anni non arriva al 27%, contro una media europea del 41 e passa, che le percentuali dei Paesi nordici aiutano a tenere alta

Mercoledì 16 Aprile 2025, 13:00

È dell’inizio dell’anno la notizia, rimbalzata anche sulla nostra stampa nazionale, della «presa di servizio» di Hannah Fry, già docente all’University College di Londra (l’UCL di Charles Darwin e di Geremy Bentham) presso l’Università di Cambridge, ricoprendo la cattedra di «comprensione pubblica della matematica».

Non è una novità in Inghilterra, tanto meno a Cambridge dove, dal 1999, è attivo un Millenium Mathematics Project, fondato e diretto dal matematico John D. Barrow fino alla sua morte, avvenuta assai precocemente nel 2020. Quando in quei primi giorni del nuovo millennio, ebbi la possibilità di chiedere a Barrow in cosa consistesse il progetto, quali fossero le sue finalità, mi rispose quasi divertito, «… alla domanda, come va con la matematica?, proveremo a convincere le persone a non rispondere…Dio mio, Dio mio, la matematica non fa per me!». Un modo di dire abbastanza frequente, anche alle nostre latitudini.

Le ragioni per cui la matematica, e la scienza in genere, debbano «fare per tutti» e siano accessibili alla maggior parte delle persone, sono diventate chiare all’inizio e durante la pandemia da Covid-19: capire cosa significava un progressione numerica esponenziale di ammalati, invece che una loro crescita lineare, ha determinato la più o meno difficile accettazione delle politiche di confinamento sociale. E tra i molti che oggi discutono dei pericoli distopici di una società in mano agli algoritmi dell’intelligenza artificiale, non sono pochi quelli che si gioverebbero degli insegnamenti della professoressa Fry: che gioirne o preoccuparsene, senza una conoscenza di base dei numeri, ci confina al ruolo di elettronici umarèll, e poco altro.

Il problema, come tutti quelli di difficile soluzione, viene da lontano. In Italia, la percentuale di laureati tra i 30 e i 35 anni (non quelli pensionati della mia età… i giovani laureati) non arriva al 27%, contro una media europea del 41 e passa, che le percentuali dei Paesi nordici aiutano a tenere alta. Di questo 27%, solo il 24 (a spanne, Hannah Fry mi perdonerà, un quarto di un quarto) consegue una laurea STEM, Science, Technology, Engineering and Mathematics: uno scarso 7 per cento. Ad oggi, in Italia, solo 7 giovani su 100 raggiungono un titolo di studio che permette loro di capire dove sta andando la società che li vedrà attivi protagonisti o ciechi comprimari. Se poi si studiano i dati dei Neet, ovvero quelli dei giovani e giovanissimi, tra i 18 e i 24 anni, che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione (Not in Employment, Education or Training), si scopre che in Italia arrivano al 20%, contro il 13% europeo (ma in Svezia, in Norvegia, in Danimarca, in Olanda, In Islanda, anche in Slovenia, sono solo il 9%), e nel nostro Mezzogiorno rappresentano un terzo della popolazione, in qualche ragione sfiorando il 40%. Che non significa necessariamente che 4 giovani su 10 siano semplici nullafacenti, come qualche sociologo li giudica, forse troppo frettolosamente: molti, moltissimi, lavorano in nero. Che per loro però, come per la nostra società, equivale alla mancanza di qualsiasi futuro.

Un’altra matematica, l’americana Cathy O’Neil, quasi dieci anni fa lanciava un grido d’allarme, pubblicando un libro tradotto anche in Italia e «dedicato a tutti coloro che partono sfavoriti»: Armi di distruzione matematica. Un testo sui «big data» - altro tema su cui molti leoni della tastiera si cimentano sui social, con approssimata consapevolezza - denunciando quanto e come i modelli matematici alla base degli algoritmi che governano le nostre esistenze, possano aumentare la disuguaglianza e minacciare la democrazia. Come si valutano, oggi, i curriculum? Chi e come stabilisce se concedere un mutuo? Come si valuta il lavoro degli impiegati, si influenzano gli elettori, si monitora la salute dei pazienti che chiedono una copertura assicurativa? Come si gestisce la criminalità nei quartieri a rischio?

I modelli matematici, ammoniva la O’Neil, riflettono obiettivi e ideologie e la comprensione pubblica della matematica è un’emergenza democratica: un progetto per la Politica, di quelli lungimiranti quanto ineludibili. Se la politica non discutesse solo di oggi e di ieri.

Detto in altro modo, va benissimo frequentare le mostre d’arte e le sale dei concerti, leggere è assai consigliabile, vanno bene le lezioni della storia per capire il presente e traguardare il futuro… ma per evitare quello che Umberto Eco denunciava come il «passo del gambero», il rischio di guardare in avanti, in realtà retrocedendo, per provare a progettare il futuro senza esserne colti di sorpresa, qualche lezione di matematica, anche senza andare a Cambridge, è altamente raccomandata.

In alternativa, prendiamocela contro Elon Musk, ognuno dal proprio account, consapevoli che non servirà a nulla.

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