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Giorgia, prove da pontiere nella sconquassata Ue tra Usa, Russia e riarmo

 
Biagio Marzo

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Biagio Marzo

Giorgia, prove da pontiere nella sconquassata Ue tra Usa, Russia e riarmo

Il pomo della discordia, ossia quello che ha creato l’immaginabile è stata l’invasione della Russia all’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022

Lunedì 10 Marzo 2025, 13:00

Amleto di William Shakespeare parla di The time is out of jount ed era una epoca a cavallo fra la metà del ‘500 e l’inizio del ‘600, se fosse vissuto, oggigiorno, avrebbe ripetuto la medesima frase: «Tempo sconquassato». Non avremmo immaginato che gli Usa e la Russia fossero tanto vicine e l’Europa fosse così lontana e che, per le due potenze, fosse una sorta di capro espiatorio. È il segno dei tempi che gli avversari storici amoreggiano e che gli alleati tradizionali si stanno avviando al divorzio.

Il pomo della discordia, ossia quello che ha creato l’immaginabile è stata l’invasione della Russia all’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022. Stavamo meglio quando stavamo peggio, si dice. Di questi tempi malvagi, il riferimento va al Patto di Yalta, noto come Conferenza di Yalta, città della Crimea, in cui ci fu l’incontro tra i leader delle tre principali potenze alleate durante la Seconda guerra mondiale: per l’Unione Sovietica Iosif Stalin, per gli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt e per il Regno Unito Winston Churchill. La conferenza si tenne, dal 4 all’11 1945, e fu concordata la divisione del mondo in due blocchi, quello Occidentale sotto l’ombrello degli Usa e quello Orientale con a capo l’Urss. Sono passati pressappoco 80 anni di pace, quantunque, ci fossero momenti di alta tensione tra le due potenze. La crisi di Suez fu un conflitto determinato, nel 1956, dall’occupazione del canale di Suez da parte di Francia e Regno Unito e Israele, a cui si oppose l’Egitto. La pace arrivò quando l’Unione Sovietica minacciò di intervenire al fianco dell’Egitto e degli Stati Uniti. Alla Casa Bianca c’era il presidente Dwight D Eisenhower al Cremlino Nikita Kruscev.

Allora come oggi le due potenze trovarono l’intesa, invece, ben diversa, fu la crisi dei missili sovietici a Cuba avvenuta, durante la presidenza di John Kennedy e fu uno dei momenti più critici della guerra fredda e più a rischio, per via di mercantili contenenti missili balistici e testate nucleari che salparono dall’Urss. Il primo di questi arrivò a Cuba, l’8 settembre del 1962. Alla fine di un lungo braccio di ferro tra Cremlino e Casa Bianca, la crisi dei missili cubani venne risolta, in gran parte, grazie all’accordo segreto tra John Kennedy e Nikita Kruscev.

Dopo Yalta, le crisi del Novecento risolte, grazie alle due potenze in gioco, Usa e Urss, il cui rapporto è stato a stop and go e il movimento si ripete paro paro anche nel Ventesimo secolo. Trump contro tutti e poi dice il contrario: spara alzo zero contro Mosca e poi afferma che si fida di Putin. Adesso è il turno di Taiwan, stretto alleato, che viene minacciato: la produzione di microchip dovrà tornare in USA. Come dire, è un altelenare di good news, bad news.

A ottant’anni da quel Patto di Yalta, l’Europa, di cui 27 Stati si ritrovano nell’Unione Europea, ha deciso, senza alcun ombra di retorica, una svolta storica di fare a meno degli Stati Uniti e di fare da sé e per sé. Troppo tardi si è accorta, trovandosi con l’acqua alla gola, quando Oltreoceano alcune élite, in maniera diversa, repubblicane nonché democratiche dibattevano da decenni sul tema del protezionismo e dell’isolazionismo. Un’Europa incapace di auscultare fenomeni e i movimenti a stelle e strisce che, come fiumi carsici sono emersi contro il Vecchio continente, considerandolo «sonnacchioso, indolente» e, in particolare, una specie di zavorra sul piano militare.

Il 6 marzo scorso l’Ue si è riunita e, durante questo incontro in 26 meno l’Ungheria, ha approvato il «ReArm Europe Plan», un’iniziativa proposta dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, con l’obiettivo di mobilitare fino a 800 miliardi di euro per potenziare le capacità militari europee.

Questa decisione arriva in un momento critico, in cui l’Unione Europea cerca di rafforzare la propria autonomia strategica e ridurre la dipendenza da alleati esterni, in particolare alla messa in discussione sui recenti sviluppi nel supporto militare degli Stati Uniti all’Ucraina. Nell’incontro, Giorgia Meloni, ha chiesto di cambiare nome, dato che riarmo non è la parola adatta troppa aggressiva: «Il 74% degli italiani vuole investimenti nella sanità, non nelle armi». E ha aggiunto la necessità di un rafforzamento delle capacità di difesa europee, in linea con la posizione atlantista e a favore della NATO. Il suo governo ha più volte ribadito l’impegno a collaborare con gli altri Stati membri dell’Unione Europea per una maggiore integrazione nel settore della difesa e della sicurezza, pur mantenendo il legame stretto con gli Stati Uniti e la NATO. Bisogna dare atto che al di là dall’apparire diversa, per ragioni interne, per via della spoletta tra Trump e Putin di Salvini, il suo europeismo, atlantismo e la partecipazione ferma alla Nato sono fuori discussione. Al momento, non riveste i panni di pontiere tra l’Europa e gli Usa, che sperava, scavalcata dalle iniziative di Starmer e di Macron soprattutto, essendo il Regno Unito e la Francia potenze nucleari. A Parigi, si svolgeranno le riunioni dei Capi di Stato Maggiore e dei ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia, Polonia e Regno Unito per coordinare l’azione di sostegno a Kiev. Epperò, l’Italia, la Spagna e Polonia sono incerte sull’idea di inviare truppe in Ucraina, senza il coinvolgimento dell’Onu o della Nato.

Per quanto riguarda l’opposizione di casa nostra, la risposta è stata coriandolata. Il Partito Democratico, la cui segretaria, Elly Schlein, ha sostenuto una posizione asimmetrica rispetto alla stragrande maggioranza del Partito socialista europeo favorevole del ReArmEurope. Insomma, fa l’equilibrista, mantenendo buoni rapporti con il M5s, con la sinistra Avs e con i leader dei partiti socialisti che sostengono il riarmo. Tuttavia, esponenti della sinistra del Partito democratico, dell’Avs e del Movimento 5 Stelle hanno sollevato dubbi sul potenziale incremento delle spese militari, temendo che un rafforzamento della difesa europea possa portare a un militarismo eccessivo o a un allontanamento dai valori pacifisti che alcuni movimenti politici, in Italia, tradizionalmente sostengono. In conclusione, quindi, il dibattito sul ReArmEurope ha visto il governo Meloni favorevole e impegnato a rafforzare il ruolo dell’Italia all’interno della difesa europea, mentre l’opposizione ha espresso posizioni più variegate, arrampicandosi sugli specchi.

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