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Contro il terrorismo lo Stato mostri la «faccia del diritto»

 
Francesco Alicino

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Francesco Alicino

Contro il terrorismo lo Stato mostri la «faccia del diritto»

foto ansa

Le odierne forme di terrorismo sono associate ad altre complesse tematiche, quali il poderoso processo immigratorio e l’ambiguo andamento della globalizzazione

Martedì 31 Dicembre 2024, 14:00

15:45

È il 20 dicembre 2024, ore 19.04. Una BMW scura imbocca l’ultima curva prima della piazza del mercato della città tedesca di Magdeburgo. Si lancia a tutta velocità tra le bancarelle di natale lasciando sul terreno cinque morti, tra i quali un bambino di nove anni, e duecento feriti, di cui una quarantina in gravi condizioni. La natura asettica dei numeri risuona come l’ennesimo, tragico rumore di fondo. Quello che, dall’11 settembre 2001, accompagna la quotidiana fatica dell’esperienza umana in differenti parti del pianeta.

Da allora le odierne forme di terrorismo sono state associate ad altre complesse tematiche, quali il poderoso processo immigratorio e l’ambiguo andamento della globalizzazione. Segno evidente che, a più di vent’anni dalla loro comparsa sulla scena occidentale, hanno dismesso i panni dei fenomeni emergenziali, con i loro ristretti orizzonti temporali, per indossare gli abiti ossimorici delle urgenze stabili e quasi permanenti. Hanno in altre parole acquisito i connotati dei problemi strutturali. Come tali, si sono ritagliate un posto d’onore nell’agone mediatico, sempre più appiattito sulle verità partorite e diffuse dall’ibrido utilizzo dei vecchi e nuovi mezzi di comunicazione di massa: appositamente confezionate da stregoni politici in cerca di punti di insediamento e da esperti commedianti vogliosi di notorietà, risultano tanto deleterie per i bisogni investigativi quanto speculari a date campagne elettorali e a influenti pollai televisivi.

Nel primo caso, l’archetipo è incarnato dal consulente del neo Presidente degli Stati Uniti d’America e capo di Tesla, X, Starlink e di altre strategiche imprese. Prendendo spunto dall’attentato di Magdeburgo, non ha perso l’occasione per scagliarsi contro l’immigrazione e appoggiare i nostalgici del nazismo: «Solo il partito dell’Alternative für Deutschland (AfD) può salvare la Germania», ha gridato dai megafoni del suo algoritmico social media. Incurante della classica lezione di Wittgenstein (per il quale su ciò di cui  non  si  può  parlare  si  deve tacere), non si è accorto che l’attentatore, medico islamofobo di origini saudite e paranoico complottista, è come lui simpatizzante dell’AfD: in un recente post si è peraltro perfettamente allineato con le bêtises del miliardario morto di fama, accusando il governo tedesco di «promuovere l’islamizzazione del Paese e dell’Europa intera».

Quanto al secondo caso, l’esempio è fornito dai neo professionisti dell’antiterrorismo, le cui analisi e previsioni vengono puntualmente smentite dai fatti concreti e dal variegato profilo degli attentatori. Quello di Magdeburgo estremizza l’emblema del terrorista fai da te, del lupo solitario, da cui è difficile difendersi. Anche perché armi e fisionomia non rispondono a canoni prestabiliti.

Al punto che Taleb Al Abdulmohsen non è poi tanto diverso dal vicino di casa, al quale basta una patente di guida per commettere crimini inauditi. Chiunque potrebbe essere l’autore e la strage avvenire ovunque. Non è interessato a colpire il cuore dello Stato, bensì moltitudini di persone indistinte e indifferenziate: la folla falciata da un autocarro a Nizza nel 2016 celebrava una laicale festa nazionale e non il Santo Natale; fatto sta che il massacro della Promenade des anglais ha lo stesso modus operandi di quello del dicembre 2024; entrambi hanno colpito la normalità della vita sociale, rispetto alla quale le democrazie costituzionali risultano sempre più vulnerabili.

Ne deriva la sindrome di accerchiamento con cui, confondendo la sicurezza collettiva con quella soggettiva, si giunge a promuovere la tutela dell’insicurezza percepita. Una tendenza irragionevole che, alimentata da un’amministrazione politicizzata della paura, si pone in contrasto con la migliore cultura laica e liberale: implica comunità di pensanti e scientificamente vitali, carriere aperte ai talenti, codici sicuri e giurisprudenza colta. Aliena da interessi corporativi e logore prospettive ideologiche, questa cultura s’impegna così seriamente per un’azione non solo repressiva, ma anche e soprattutto preventiva.

Lo fa senza sorvolare sopra le evidenze empiriche, maneggiando accuratamente le armi dello stato di diritto, al cui servizio deve efficacemente prestarsi la rivoluzione tecnologia e digitale.

Insomma, seguendo l’insegnamento di Leonardo Sciascia, per combattere le odierne forme di terrorismo e garantire sicurezza e stabilità, lo Stato deve presentarsi con la faccia del diritto e non con la faccia della paura. Tanto più che quest’ultima finisce col diventare il doppione di cinici interessi politico-corporativi, quando non anche la brutta e inefficace copia del crimine più o meno organizzato.

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