Papa Francesco, da Roma, ancora una volta si appella alla pace, mentre si stanno vivendo giorni incerti e ad alta tensione. Quello che è apparso come un Ferragosto qualunque, in realtà, ha avuto un senso complesso, che ha riguardato gli equilibri del mondo, la vita e la morte di tante persone, di cui, a stento, si conoscono bene i numeri e di certo non si conoscono i nomi.
Pare che non abbiano volto i morti di Gaza per noi tutti, che viviamo lontani dalle guerre e ben poco si dice sulle sofferenze di Ramallah o sulla dignitosa gente di Nablus: sono popolazioni vessate da anni! Ci si abitua, purtroppo, ai quotidiani, ci si abitua alle immagini delle tv, ma la vita scorre, a prescindere dall’indifferenza. Eppure per queste donne e questi uomini in guerra in Medio Oriente qualcosa si è mosso, in queste ore, senza che neanche ne abbiano notizia, come se la storia passasse sulle loro teste (e sulle loro terre) senza renderli protagonisti davvero.
Come noto, si sono appena conclusi, senza una vera intesa, gli incontri di Doha, promossi da Stati Uniti, Egitto e Qatar per cercare di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Ed è qui che si aprono una serie di interrogativi e di notizie flebili. Pare che, prima della fine della prossima settimana, al Cairo si dovrebbero tenere ulteriori colloqui per cercare una soluzione. Biden, pur non facendo trapelare molto su quanto detto in questo consesso, ha affermato che ci sono stati progressi significativi, mentre un alto funzionario di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha aggiunto: «Gli Usa fingono di creare un clima positivo che non esiste». Come sempre, rispetto alla verità negli incontri diplomatici restano dubbi, fonti incerte, notizie che solo i prossimi giorni si confermeranno o smentiranno. La verità, in diplomazia, è un gioco di apparenze che poi, può consolidarsi anche grazie a quelle stesse finzioni. Ed è così che vanno interpretate le parole di Biden: fingere di aver ottenuto una distensione per cercare, intanto, di prender tempo e guadagnare qualche piccolo risultato. Atteggiamento fisiologico nella storia dei conflitti, se li si guarda dall’alto della politica internazionale.
Poi c’è il taglio basso, la prospettiva feriale, quella fatta solo di dolore, di morti, di corpi affamati. In tal senso, la diplomazia vaticana sta cercando un suo spazio, soprattutto nel tentare di ottenere più ascolto presso gli Usa, che mancano (stranamente o volontariamente?) di incisività. Al momento un dato sta emergendo con più chiarezza: proprio come negli incontri di Roma di alcuni giorni fa, così in questi di Doha, il Qatar sta mettendo sulla bilancia la drammatica situazione dei coloni in Cisgiordania. È decisamente significativo e inedito che il presidente israeliano, Isaac Herzog, abbia definito un «pogrom» l’attacco dei coloni israeliani contro un villaggio della Cisgiordania. Questi episodi sono sempre avvenuti, in questi anni, ma finalmente ora si iniziano a usare parole più veritiere.
Che c’è di nuovo allora in questo orizzonte geopolitico, che sembra esser stato già percorso, in passato, se non l’influenza proprio del Qatar? Giuseppe Dentice, analista del Cesi, ha commentato: «Doha potrebbe trovarsi in una condizione nuova, nella quale usare la carta Hamas per contribuire a creare un diverso ordine post-bellico a Gaza e forse anche nell’intera regione. Una posizione dettata da opportunità varie, che potrebbe trovare una convergenza anche in altre cancellerie arabe, interessate a ridurre il cordone ombelicale, che lega queste realtà ad Hamas». Lo stato delle relazioni del Qatar con Hamas (e inevitabilmente il suo impatto sulla posizione internazionale del Paese del Golfo), potrebbe influenzare anche alcune scelte di Israele. Le proposte semisconosciute di Doha potrebbero essere giunte tempestivamente anche per evitare uno scenario in stile «libanese», come quello accaduto a Beirut con al-Arouri. «In ogni caso - come interpretato dal Centro Studi Internazionali, Cesi - tutto ciò sembrerebbe spingere i tavoli di Doha a impedire l’emergere di una grave crisi relazionale con Israele - benché comunque non si possa definire una relazione amichevole - tentando, in parte, un cambio di marcia nei confronti dei leader di Hamas, che, a loro volta, potrebbero essere spinti a cercare protezione altrove».
Che dire di questo scenario ipotizzato da alcuni analisti? È plausibile? Fino a un certo punto. Sarebbe conveniente che il Qatar volti davvero le spalle ad Hamas? O sarebbe ben più proficuo fingere di farlo (per mostrare imparzialità diplomatica negli eventuali accordi) e, intanto, ottenere un ceasefire per Gaza e una maggiore protezione per i coloni della Cisgiordania, vittime di violenza continua? Ovviamente il Qatar guadagnerebbe, nell’intera area, una posizione di spicco da far pesare in futuro.