Agirare per i corridoi e le aule della Sezione Lavoro del Tribunale, stringe il cuore. Salvo 2 o 3 magistrati che assumono direttamente i mezzi istruttori, alle 11, nelle aule, non c’è quasi più nessuno. E anche nelle ore precedenti non c’è molto affollamento. Certo, c’è la trattazione scritta che spesso è opportuna ma riduce l’utile confronto tra giudici, avvocati e parti. C’è il processo online, ma la verità è che il numero dei giudizi, delle cause, si è ridotto drasticamente.
Solo fino a pochi anni fa centinaia di cause sul ruolo, ogni giorno, per ogni giudice. Oggi, poche decine. E non è che i tempi della giustizia si siano ridotti. Un mistero glorioso. Il numero dei processi si riduce e i tempi restano pressocché inalterati, se non si allungano.
Poi ci sono le prassi dei magistrati che non assumono direttamente i mezzi istruttori. Li fanno assumere agli avvocati in contraddittorio. E c’è la prassi di delegarli ai GOT (giudici onorari) che nemmeno loro li assumono direttamente e li fanno assumere sempre agli avvocati in contraddittorio.
Mi sfugge il senso dell’operazione, altro mistero glorioso. Senza dire che tra trattazione scritta e prove non assunte direttamente va a farsi benedire lo spirito (concentrazione e oralità) della benemerita L. 533/73, la legge sul processo del lavoro, la più efficace e la più imitata.
Ma non sono queste storture, che pure sono storture, le cause della desertificazione del processo del lavoro. Ci sono, in primo luogo, le riforme legislative sul tema. Fino a circa 20 anni fa la regola era il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ora questa è diventata l’eccezione, travolta dalle miriadi di tipologie di lavoro e termine, interinale, a somministrazione, vaucher, etc., chi più ne ha più ne metta.
La regola è il lavoro precario. E il lavoro precario, figlio prediletto della flessibilità (la magica flexicurity) significa meno tutele, meno sindacato, meno salario. Meno di tutto e profitti più alti.
In una situazione di precariato e conseguente mancanza di tutele, è estremamente disagevole per un lavoratore, far valere i propri diritti. Se protesta, se rivendica, se impugna, esce dal giro.
È sintomatico che la tutela dei riders a Milano e l’imposizione alle imprese della stipula di un contratto di lavoro, sia avvenuta ad impulso della Procura della Repubblica e non del Giudice del Lavoro. Presso il Giudice del Lavoro, per le tante forme di precariato, è complicata qualsiasi forma di tutela.
Bisogna fare come la Spagna (non a caso con un Governo socialista) che ha cancellato il precariato e reintrodotto la regola aurea del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Salvo eccezioni. Ma devono essere eccezioni. E pare che poi l’occupazione sia pure aumentata.
Liberiamoci dai falsi miti. L’azione di Elly Shlein e i referendum della CGIL vanno in questa direzione, e vanno sostenuti. Ci sono poi i tempi della giustizia a scoraggiare. E i costi. E le spese di soccombenza pesanti per i lavoratori, spesso più che per i datori, anche per la sproporzione reddituale. E la logica che al fine di favorire le conciliazioni vengano prospettati per il lavoratore scenari apocalittici. C’è da meravigliarsi che i lavoratori ci pensino due (o tre, o quattro) volte prima di intraprendere una vertenza?
Aule deserte, quindi, effetto dell’impulso deflattivo che è stata la stella polare di questi anni di riflusso. «Ridurre il contenzioso» è stato il mantra. E così è stato, senza considerare che ridurre il contenzioso attraverso processi deflattivi significa ridurre o annullare la tutela dei diritti. Piuttosto che affrontare un processo in questa situazione, il lavoratore si accontenta di quattro soldi o rinuncia.
È un buon risultato o un ulteriore passo dell’estraneità delle istituzioni per i lavoratori e i cittadini? Se il lavoratore che perde il lavoro, che è mobbizzato, che è sfruttato, che lavora per 3 o 4 euro l’ora, non ha la prospettiva di rivolgersi utilmente a un Giudice, che deve fare? E poi ci lamentiamo dell’astensionismo che significa appunto distacco e sfiducia nelle istituzioni.
Le aule vuote della Sezione Lavoro sono un sintomo da non sottovalutare. Facciamoci tutti un esame di coscienza. Legislatori, magistrati, avvocati spesso più interessati a ipotesi transattive piuttosto che a coltivare giudizi in situazioni che diventano ostili.
E anche le stesse organizzazioni sindacali, sovente più occupate nelle politiche sindacali che sono importantissime, per carità, ma che portano sovente a trascurare le tutele spicciole. E ad occuparsi dei lavoratori di aziende stanziali, dove ci sia una fabbrica o uno stabilimento e il rapporto con gli assistiti è diretto.
Ma gli indiani nelle campagne di Latina e di Laterza chi li tutela? A Borgo Mezzanone c’è qualcuno che organizza le rivendicazioni? Ci indigniamo e ci prodighiamo quando sono in mare. Ma quando muoiono di fatica nei campi, non esistono più?
Decenni fa c’erano vertenze, di massa, contro il caporalato, per i salari di fame. Oggi queste vertenze sono assenti dalle aule del Lavoro. Ogni tanto, solo nelle aule penali. È proprio la tutela del lavoro che si è ridotta e attenuata. Vogliamo prenderne atto o continuiamo a rimuovere? Vogliamo discuterne? Provare a individuare antidoti? Provare a invertire la tendenza? Chi ci sta?