Il vento di destra che ha spazzato l’Europa, Francia e Germania in primis, da noi è diventato una sorta di refolo, solo con qualche rinforzo nel Salento. Certo fa impressione che la AFD neonazista superi la gloriosa SPD, la più antica socialdemocrazia europea, (e forse anche per questo).
La storia non insegna niente, talvolta si diverte.
Così la Francia dove la La Pén ha creato un forte partito di destra liberandosi di residui del fascismo (cosa che la Meloni ancora non riesce a fare). Macròn paga i suoi errori, anche un eccesso di bellicismo, con l’idea di mandare i suoi soldati in Ucraina (e chi sei, Napoleone?). Rischia così di creare un fronte a destra che comprende i gollisti, spaccando il Fronte Repubblicano. E per rianimare il réveil républicain resta/risorge il partito socialista.
Anche in Italia la Meloni si rafforza. Non illudiamoci che si possa battere solo con accuse di fascismo e professioni di antifascismo, o deridendo i suoi ministri e camerati di partito. E men che meno affidandosi a nemesi giudiziarie (v. Genova) che ormai non toccano l’elettorato, anzi rischiano l’effetto opposto (v. Trump).
La Meloni va affrontata sui temi politici. Come ha fatto la Schlein, non più inseguendo l’opzione del buon governo e della compatibilità economica.
Non più prevalenza della tutela dei diritti civili, ma impegno per i diritti sociali (sanità pubblica e salario minimo). Tematiche più consone ai ceti popolari che dovrebbero essere quelli tradizionali di riferimento, anche a costo di mettere in discussione misure di compatibilità (e conseguente austerità).
Ha pagato, per la Schlein, anche la vocazione unitaria e la percezione che, unitariamente, si può costruire un’alternativa seria e credibile alla destra al potere. Ambivalenze su questo tema hanno nuociuto ai 5 stelle. Scelte identitarie hanno portato alla sconfitta di Calenda e Renzi, campioni mondiali di tafazzismo. Il successo di Alleanza Verdi e Sinistra, soprattutto tra i giovani, segnala un ritorno alla ricerca di ideali e valori universali, se non ideologie.
A Bari la sinistra ha vinto largamente e Decaro trionfa perché c’è un lungo lavoro alle spalle. Il lavoro di Emiliano quando ancora si avvaleva della spinta propulsiva, il lavoro di Nichi Vendola e soprattutto di Antonio Decaro. Il successo di Antonio e del PD e la sua ampiezza ha dimostrato l’assoluta irrilevanza - questo mi sembra un punto importante da sottolineare - di quei quattro peracottari millantatori (perché di questo si tratta, altro che mafia e criminalità organizzata, che sono fenomeni comuni a grandi città) che passavano per «signori delle tessere e dei voti» e per questo venivano contesi e ricompensati con nomine. Con loro ai «domiciliari» i voti sono aumentati, non sono certo diminuiti. Quando cesseranno quelli giudiziari, si consegnino ai domiciliari, privati ed eterni, e non si facciano più vedere in giro. E tutti ne stiano alla larga, indipendentemente dagli esiti giudiziari.
Parlare di discontinuità soprattutto con riferimento a Decaro non era solo un errore (che è stato pagato) ma una solenne sciocchezza.
Ciononostante, nella continuità, qualche aggiustamento in corso d’opera va fatto. Nella competizione elettorale e nella composizione delle liste ci sono stati già segnali significativi. Ed è un processo che richiede impegno unitario.
Il ballottaggio, che non è un risultato scontato e non sarà una passeggiata, e che richiederà, quindi, una mobilitazione convinta e capillare, dovrà essere il primo banco di prova di questo percorso di unità.