Sabato 06 Settembre 2025 | 18:55

Nel mondo delle insidie com'è difficile insegnare l’arte della fiducia

 
Lisa Ginzburg

Reporter:

Lisa Ginzburg

Nel mondo delle insidie com'è difficile insegnare l’arte della fiducia

La fiducia è un bene prezioso, uno scrigno segreto di cui disponiamo: siamo noi ad averne le chiavi, ma sta a noi decidere quando usarle, quando aprire lo scrigno e regalare al prossimo la nostra fiducia

Venerdì 24 Maggio 2024, 13:36

In un mondo fitto di insidie sia reali che virtuali, per noi adulti, da genitori, poche cose sono difficili quanto insegnare ai nostri figli adolescenti, nel momento in cui terminata l’infanzia spiccano i primi brevi voli e si affacciano alla vita «fuori», insegnare loro cosa sia la fiducia. Come calibrarla, come e quando decidere di darla o non darla agli altri. Siano questi «altri» i coetanei, o gli adulti, o persino dei più piccoli.

La fiducia è un bene prezioso, uno scrigno segreto di cui disponiamo: siamo noi ad averne le chiavi, ma sta a noi decidere quando usarle, quando aprire lo scrigno e regalare al prossimo la nostra fiducia. Libertà d’arbitrio ampia tanto quanto incandescente, che può esserci guida nel fare buoni incontri o invece nel vivere tremende delusioni.

Da un punto di vista pedagogico, è compito arduo insegnare il punto medio. Far capire ai figli giovanissimi quanto sia importante stare molto attenti nello scegliere le persone, valutarle con prudenza, affinare l’intuito per sbagliare il meno possibile nelle percezioni degli altri e così non incappare in molte amarezze se non in veri brutti incontri. E al tempo stesso, trasmettere loro l’idea che malgrado ci sia tante volte poco, pochissimo da fidarsi, malgrado sia sempre meglio, con il prossimo, muoversi piano, con cautela massima, malgrado ciò lo stesso il mondo è un luogo meraviglioso: non smette di esserlo.

Un immenso spazio abitato (anche) da belle persone, un giardino fiorito, in potenza fitto di incontri positivi, di relazioni che possono stabilirsi e divenire nutrimento sano e magari anche duraturo, con caratteristiche tali da farlo continuare nel tempo.

Prudenza sì, ma anche fiducia; chiusura sì, ma al tempo stesso anche apertura. Credere e non credere negli altri, fare le due cose quasi in forma simultanea, in maniera tale da costruirsi un’armatura e da toccare il prossimo, ma farsene toccare sino a un certo grado, non di più. Se è tanto difficile, provare a insegnare queste cose ai figli, è anche perché farlo ci costringe a esaminare gli stessi principi in noi stessi.

Svolgere una sorta di ricognizione dello di salute della nostra fiducia. Quanto, sino a che punto crediamo negli altri? Una domanda che, se non siamo ormai più giovani, diventa: quanto ancora crediamo negli altri ? Quesito a suo modo bruciante; perché nel porcelo e nel tentativo di rispondere ci accorgiamo di come il mescolarsi di fiducia e sfiducia sia il tessuto stesso del nostro stare al mondo, la grana dei nostri giorni, passati e presenti.

Noi siamo le delusioni che gli incontri con gli altri ci hanno procurato, così come siamo anche, ancora, l’aspettativa positiva di quando eravamo ragazzi e a tentoni, per tentativi in successione, cercavamo la compagnia degli stessi altri, con luminosa speranza fiduciosi di incontrarli e di stringere rapporti con loro. Siamo anni e anni delle nostre fiducia e sfiducia, siamo esseri adulti ancora amalgamati di stessa mescolanza. Quell’ibrido di disincanto e di incanto continua a nutrirci, carsicamente, da moltissimo tempo. Proprio quella particolare miscela è ciò che più e meglio possiamo trasmettere ai nostri figli: la sensatezza del coesistere in noi di cautela e di speranza. La capacità di venire guidati, nel contatto con l’esterno, da stesso ibrido, delicato ma così fecondo, di fiducia e sfiducia.

Sembrerebbe allora che questo mondo sempre (sempre più) fitto di insidie sia reali che virtuali una possibilità di riscatto psicologico però ce la regali. Nel momento in cui ci sforziamo di insegnare quel che si è appreso con la maturità: il percorrere allo stesso tempo entrambe le strade, quella della cautela e quella dell’apertura, e percorrerle alla doppia velocità dettata dal credere negli altri ma al tempo stesso non credervi affatto. Semplici come colombe, astuti come serpenti. Il Vangelo di Matteo lo dice nel miglior modo. A occhi bene aperti, con tutti i sensi all’erta ma anche con una buona dose di inscalfibile fiducia nella vita, credere e non credere negli altri. Perché la vita è l’arte dell’incontro: un’arte, come tutte le arti, che vuole anche massicce dosi del nostro talento di dissimulazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)