Nel Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, il celebre quadro che simboleggia l’avanzata, ma, direi meglio, il cammino dei lavoratori, bisogna fare caso alle ombre.
Non alle caligini metaforiche che si annuvolano sul riscatto delle plebi, nuvole minacciose arruolate dal padronato che mal sopporta l’emancipazione del proletariato, ma a quelle corte ombre che il pittore divisionista traccia sulla strada e indicano che è mattino, che la gente marcia col sole in faccia.
Che questo sia il sole dell’avvenire lo sognavano in tanti, al tempo di Pelizza da Volpedo che così scrive: «Siamo in un paese di campagna, sono circa le dieci e mezzo del mattino d’una giornata d’estate, due contadini s’avanzano verso lo spettatore, sono i due designati dall’ordinata massa di contadini che van dietro per perorare presso il Signore la causa comune...».
Quel «perorare presso il Signore» timido e speranzoso riassume un basto di utopie. Ma quella donna che reca il bambino e allarga la mano sinistra con la palma in su, come ad ostendere, con la creatura, la buona ragione della giustizia sociale che non può non essere accolta, è un capolavoro politico.
Propongo una riflessione su questo quadro a coloro che stanno festeggiano il lavoro in questo poco pittorico trambusto pre-elettorale.
Si mettano in cammino con le ombre corte e, come si fa a Roma, con fave e pecorino. Buon Primo Maggio.
