La BCE ha proceduto al primo aumento recente dei tassi di interesse il 21 luglio 2022, manovrando il tasso di rifinanziamento principale con una frequenza di aumento mai registrata nella sua storia. È in previsione la loro riduzione, che dovrebbe avvenire a giugno prossimo.
Concorrono a questa decisione l’evidenza di una riduzione del tasso di inflazione e di una contrazione della crescita economica nell’area euro. Le tensioni in Medio Oriente suggeriscono al Consiglio Direttivo della Banca Centrale di rinviare questa decisione, soprattutto in considerazione dei possibili effetti inflazionistici in Europa derivanti dall’interruzione delle catene di approvvigionamento.
La politica monetaria agisce sugli squilibri regionali tramite diversi canali, che attengono alla dinamica dei consumi, degli investimenti e alle fluttuazioni del tasso di cambio. Per chiarire i termini della questione, si può ricordare che anche la FED statunitense ha proceduto ad aumenti dei tassi di interesse, a seguito di un aumento della domanda stimolato anche dalle politiche fiscali espansive dell’amministrazione Biden (in primis, l’Inflation reduction Act). Ma, come molti analisti hanno evidenziato, occorre anche chiarire che le condizioni macroeconomiche sono molto diverse fra USA e UME: negli Stati Uniti, infatti, l’occupazione è elevata e in aumento ed è elevato il tasso di crescita dei salari nominali, mentre vi è la sostanziale inesistenza della spirale salari-prezzi nell’area euro.
È opportuno, a riguardo, chiarire che la strategia di crescita che l’UME fa propria è di tipo export-led, ovvero trainata dalle esportazioni ed è basata su misure finalizzate all’aumento della competitività. Nel caso italiano, la via scelta per accrescere la competitività è quella che viene definita svalutazione interna, caratterizzata da un complesso di misure finalizzate a generare moderazione salariale e, per questa via, riduzione dei prezzi dei prodotti esportati.
La disinflazione nell’Eurozona si rende, dunque, necessaria per la sopravvivenza di questo modello di sviluppo e si spiega, in tal senso, anche l’imminente ritorno al consolidamento fiscale, attraverso la revisione del Patto di stabilità e crescita e l’introduzione dei nuovi parametri per le politiche di rientro del debito pubblico. In altri termini, l’aumento dei tassi di interesse, combinato con la riduzione della spesa pubblica, serve anche a tenere sotto controllo le rivendicazioni salariali, attraverso l’effetto disciplinante della più elevata disoccupazione.
I residenti nel Mezzogiorno, particolarmente le famiglie povere meridionali, soffrono maggiormente l’aumento del tasso di inflazione, a ragione della composizione merceologica dei loro consumi, caratterizzati da elevata incidenza dei consumi alimentari e la politica monetaria della BCE non è neutrale dal punto di vista territoriale.
Questa evidenza si inserisce nel quadro di una lunga stagnazione dell’economia meridionale (interrotta dalla sola breve ripresa post-pandemia, comunque prima dello scoppio della guerra in Ucraina), con un Pil pro-capite che, nel 2023, risulta essere inferiore di oltre sette punti percentuali a quello precedente la crisi del 2008.
Il maggiore impatto dell’aumento dei tassi di interesse nel Mezzogiorno si spiega alla luce delle seguenti considerazioni. Per quanto attiene agli investimenti, occorre rilevare che il costo del credito nel Mezzogiorno è mediamente più alto rispetto ad altre aree del Paese, a ragione delle più sfavorevoli condizioni ambientali e di contesto. Inoltre, le imprese meridionali sono di più piccola dimensione e hanno quindi minori fondi interni. Da ciò segue che sono maggiormente dipendenti dal credito bancario e, per conseguenza, dall’aumento del costo del credito. Per quanto riguarda i consumi, occorre considerare che nel Mezzogiorno sono residenti le famiglie più povere, con maggiore concentrazione dell’occupazione in settori a basso valore aggiunto, elevata presenza dell’economia irregolare e del lavoro nero, con conseguente bassa dinamica dei salari (in un contesto generale, che riguarda l’intero Paese, di salari reali più bassi della media dell’Eurozona). In tal senso, l’aumento dei tassi di interesse da parte della BCE ha impatti relativamente maggiori nelle aree nelle quali le imprese sono maggiormente dipendenti dal credito bancario. Occorre, poi, rilevare che le imprese del Mezzogiorno hanno bassa propensione alle esportazioni, così che l’eventuale svalutazione dell’euro rispetto al dollaro redistribuisce a vantaggio delle aree più sviluppate del Paese.