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Nel catalogo degli orrori l’ora più buia c’è sempre. Ma la speranza...

 
Gino Dato

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Gino Dato

Nel catalogo degli orrori l’ora più buia c’è sempre. Ma la speranza...

Non è mai l’ora più buia in un mondo che, nel catalogo degli orrori, inanella e registra disastri, come il crollo del ponte di Baltimora, stragi, come l’attentato al Crocus City Hall, guerre genocide, come quelle che insanguinano Ucraina, Russia, Medio Oriente

Sabato 30 Marzo 2024, 12:59

Non è mai l’ora più buia in un mondo che, nel catalogo degli orrori, inanella e registra disastri, come il crollo del ponte di Baltimora, stragi, come l’attentato al Crocus City Hall, guerre genocide, come quelle che insanguinano Ucraina, Russia, Medio Oriente.

Il pilota ha fatto «tutto quello che poteva fare» per rallentare la deriva del cargo, ha spiegato Clay Diamond, direttore esecutivo e consigliere generale dell'American Pilots Association.  La similitudine che disegna il Key Bridge gioiello di ingegneria mentre si inabissa come un fuscello all’urto della nave portacontainer restituisce ciò che può essere l’inarrestabilità delle catastrofi. Rimandando alla mente gli attimi terribili di un’altra catastrofe, però provocata dall’uomo, la strage al Crocus City Hall di Mosca.

Sconfortati, perciò, associamo il disappunto per la nostra personale vecchiezza al risibile tramonto di una civiltà, l’Occidente. Ma, dietro questa congiuntura astrale, siamo convinti che, protagonisti e attori principali del palcoscenico della storia, abbiamo perso l'ultimo dei sentimenti proiettivi: la speranza.

Che cosa è rimasto della speranza? E su quali territori espande i suoi desideri? La speranza è quella apertura di mente che ha spinto gli uomini, laici o religiosi che siano, ad andare avanti, a costruire, a rialzarsi dopo terribili cadute, a raccontare le guerre e l’odio per negarli, insomma a continuare a vivere.

Il Novecento sarà stato pure il secolo breve, come lo definiva lo storico Eric Hobsbawm, ma, pur nelle miserie dei conflitti e nei limiti delle ideologie, ha sempre sfoderato quale ultima chance la speranza. Dopo le guerre dopo le carestie dopo le epidemie dopo le catastrofi, dopo i genocidi e la violenza dell'uomo sull'uomo. 

Ma oggi? Oggi non riusciamo più neanche a illuderci di rifugiarci nelle pur  solitarie terra della speranza. All’indomani delle odiose guerre che imbrattano le nostre coscienze sporche, nelle solitudini in cui ci dibattiamo, da un lato l’orrorismo paralizzante e spettacolare, dall'altro un localismo di sotterfugi e miserie trasformistiche,  avanza il nulla, che neutralizza e atterra la speranza.

Non speriamo più o se speriamo i colpi ripetuti ci atterrano, tolgono ossigeno. Non siamo stati capaci, uomini del secolo dei diritti, di fermare le guerre, le innumerevoli guerriglie, i focolai di odio e vendette che fungheggiano nel mondo. Non siamo stati capaci neanche di sconfiggere la miseria e la iniqua distribuzione delle risorse. Il mondo è a pezzi – e non lo diciamo perché siamo apocalittici.

Vogliamo allora provare a ridare vigore alla  speranza? Ma per riuscirci  dovremmo ricorrere ad altre due qualità, la fiducia e la credibilità, quel sostrato ineludibile della convivenza, humus di ogni civiltà. 

La fiducia è mancata per esempio nella tragedia del Crocus dove, se solo avessero avuto fiducia degli americani e dei loro servizi di intelligence, Putin e la sua corte forse non starebbero a contare le vittime. E la fiducia tra gli attori principali della geopolitica manca nelle incerte trattative per riaprire il libro della pace nel conflitto di Gaza. 

Ma se scema la fiducia, si liquefa anche la credibilità, la capacità di rispondere a chi appunto ti riconosce fiducia. 

Ditemi, però, oggi a quale statista o leader delle grandi potenze e dei modesti campanili vi sentireste di accreditare credibilità?

La ricetta contro la fine del mondo è facile da formulare, difficile da attuare: speranza, fiducia, credibilità. 

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