Il Private Equity Monitor recentemente pubblicato registra in Italia un ritorno delle operazioni effettuate sul fronte del capitale di rischio nelle imprese nel 2024 ma con un peso ancora complessivamente molto marginale. Anche sul fronte del Private Debt c’è tanto da fare rispetto alla media europea. In termini di incidenza percentuale sul PIL nazionale le operazioni di finanziamento alle imprese con capitali privati pesa circa l’1% contro la media europea del 15%.
Cassa Depositi e Prestiti del Mef, nello svolgimento del proprio ruolo di Banca Nazionale di Sviluppo che cerca di veicolare il risparmio privato verso gli investimenti delle imprese, sembra essere consapevole di questo stato di arretratezza del sistema finanziario e cerca di spingerlo partecipando ai fondi specializzati, di debito e di equity, cercando di moltiplicare (effetto leva) il peso del proprio intervento in aggiunta a quello degli investitori privati.
Complessivamente le masse gestite sul fronte degli investimenti di Private Banking, lato debito e capitale di rischio, in Italia nel 2024 arrivano a circa 1.100 miliardi dopo un periodo di rallentamento accusato nel 2023 per l’impennata dei tassi.
Grazie a questa fonte nuova le imprese più evolute hanno potuto porre in essere operazioni «particolari» di buy out e acquisizioni ampliando anche la platea solita degli interlocutori bancari tradizionali; in aggiunta e non in alternativa.
Il gap che si registra in questa arretratezza del mercato del capitale privato è fondamentalmente da addebitare a due ragioni: la mancanza di cultura finanziaria delle Pmi e la scarsa voglia del sistema bancario tradizionale di far evolvere più velocemente il mercato delle imprese.
Infatti le banche, se non adeguatamente sollecitate, anche involontariamente appariranno propense, nei nostri territori meridionali, ad offrire ai propri clienti i prodotti e i servizi tradizionali; a volte limitandone le opportunità di crescita.
Spesso si usa dire che il mercato ha la qualità dei prodotti che si merita. Le imprese devono comprendere che per attrarre capitali privati devono adeguarsi e mettersi in giusta mostra; come una bella donna, senza alcun riferimento maschilista. Solo così potranno procurarsi una fonte ulteriore di approvvigionamento, peraltro - se di debito - non segnalata in Centrale Rischi Interbancaria.
Adeguarsi significa «fare i bilanci» in modo chiaro e trasparente per renderli intellegibili ad un analista esterno e ai sistemi di intelligenza artificiale che vanno a pescare le imprese potenzialmente idonee.
Bisogna comprendere che il bilancio trasparente è lo strumento essenziale per uscire dall’opacità digitale e potersi aprire a nuove interlocuzioni. Capita spesso che anche aziende assolutamente sane pubblichino bilanci criptici che solo con una analisi interna, espressamente richiesta dall’impresa, mostrino il vero valore dell’impresa.
Se non comunicano correttamente con l’esterno, le imprese saranno costrette a restare nel recinto dei finanziatori tradizionali e non potranno lamentarsi di non avere il giusto supporto per le proprie operazioni di crescita, interna con investimenti importanti o per vie esterne con acquisizioni di competitors.
L’auspicata crescita della dimensione media delle nostre imprese passa anche attraverso l’ampliamento degli attori finanziari ben disposti ad investire capitali, non meramente a prestare risparmio, dove intravedano una reciproca convenienza a farlo con operazioni così dette taylor made, cucite addosso alle esigenze aziendali.
Nella nostra realtà pugliese la Regione ha iniziato a muoversi in tal senso con il recente bando Equity Puglia, ma solo per favorire lo sviluppo delle start up innovative. Risultano ancora orfane le imprese non innovative, nei settori maturi, che avrebbero altrettanto bisogno di supporto di capitali.
Mentre risulta ancora assente la promozione del Private Debt, i fondi di debito privato, altrettanto utile nei processi di aggregazione e/o di ristrutturazione delle imprese. A quando questo ulteriore strumento a supporto delle PMI pugliesi?