La protesta «motorizzata» degli agricoltori manifesta serie problematiche della categoria in un settore produttivo importante e delicato. Il suo indirizzarsi verso le istituzioni dell’Unione europee, da un lato, è giustificato in quanto la politica agricola è in quella sede regolata fin dalla nascita. Ed è sempre stata una politica ampiamente finanziata se solo si ricorda che inizialmente essa assorbiva circa il 70% delle risorse, utilizzate prevalentemente per il sostegno del reddito degli agricoltori e solo in seguito destinate anche agli interventi di carattere strutturale. Dal 2023 il 31% del bilancio comunitario (oggi più consistente e diversificato) è destinato a sostenere un mercato unico aperto per i prodotti alimentari agricoli dell’UE, garantendo prezzi accessibili, preservando alcune delle norme più rigorose al mondo in materia di sicurezza e ambiente nonché preservando le dinamiche delle comunità rurali.
Va, però, precisato che le responsabilità delle decisioni sui prezzi agricoli, sui prelievi, sugli aiuti e sui limiti quantitativi – alcune delle principali questioni oggetto del contendere – sono di competenza del Consiglio dei ministri dell’agricoltura (art. 43, par. 3 TFUE). Si torna, pure in questo ambito, al problema centrale del sistema istituzionale dell’Unione, tuttora imperniato sulla cooperazione intergovernativa e quindi sul potere degli Stati membri. E non si può dimenticare il pesante ruolo svolto dalle imprese multinazionali attraverso il controllo dei flussi commerciali, da Paesi terzi, di prodotti sicuramente meno garantiti e costosi.
Se comunque sulla sostenibilità economica della situazione il movimento di protesta presenta le sue ragioni, più complessa è l’analisi se si affronta l’altro oggetto del contendere e cioè l’impatto, su tale settore, delle politiche ambientali dell’Unione, sicuramente all’avanguardia. Certo, gli agricoltori sono i primi custodi dell’ambiente naturale in quanto curano le risorse del suolo, dell’acqua, dell’aria e della biodiversità sul 48% del territorio (i silvicoltori si occupano di un ulteriore 36 %) e sono all’origine degli essenziali pozzi di assorbimento del carbonio nonché dell’approvvigionamento delle risorse rinnovabili per l’industria e l’energia.
Tuttavia, mi pare stonato, da parte di alcuni, un attacco generalizzato a quello che si chiama il green deal europeo. Inutile ricordare che verifichiamo, quotidianamente, la crescente devastazione dell’ambiente e la trasformazione del clima in una pericolosa deriva verso un punto, come da tempo sostengono gli scienziati, di non ritorno. D’altronde le disastrose conseguenze di tale situazione incidono sensibilmente proprio nel settore agricolo provocando danni enormi. E allora, ci troviamo di fronte alla classica situazione del gatto che si morde la coda. La cura dell’ambiente ha indubbiamente costi elevati e il relativo conto da pagare deve essere sostenuto da tutti con responsabilità sia individuali che sociali.
Un’agricoltura sostenibile comporta, quindi, costi elevati. Ma dove trovare le risorse? In proposito è molto interessante una «Iniziativa dei cittadini europei» strumento di partecipazione democratica dell’Unione grazie alla quale almeno un milione di cittadini residenti in un quarto degli Stati membri può invitare la Commissione, titolare del potere di iniziativa legislativa, a presentare una proposta di atto giuridico ai fini dell’attuazione dei Trattati. Si tratta della Tax the Rich ovvero «Tassare i grandi patrimoni per finanziare la transizione ecologica e sociale» ed è stata da poco aperta alla firma (lo si può fare facilmente andando sul sito tax-the-rich.it). In questo caso si chiede di istituire un’imposta europea sui grandi patrimoni in grado di fornire importanti finanziamenti soprattutto per la transizione ambientale e sociale; si ipotizza la raccolta di quasi 250 mld di euro l’anno tassando fino al 5% gli europei che hanno un patrimonio superiore ai 5 mln di euro.
L’iniziativa è trasversale, come si nota dall’elenco dei proponenti, fra i quali la miliardaria Marlene Engelhorn, erede del colosso chimico Basf, che da anni si batte per una più equa tassazione e, insieme ad altri 49 eredi di immensi patrimoni, ha fondato il movimento AG Steuersrechtigkeit, più noto come Tax Me Now; ci sono poi l’economista Thomas Pinketty e alcune organizzazioni non governative come Oxfam, che storicamente denuncia le ineguaglianze planetarie.
Si segnala, altresì, una lettera aperta firmata da quasi 300 milionari, economisti di fama mondiale e politici di quasi tutti i Paesi del G20 per l’adozione internazionale di tale tassazione.
In conclusione, la protesta, che non manca di legittime ragioni, commetterebbe un grave errore se fosse trasformata, essendoci all’orizzonte le elezioni a giugno del Parlamento europeo, in una rivendicazione sovranista anti-integrazione. Sarebbe inutile nel merito dei problemi e tragica nelle conseguenze politiche generali.