Sindaci, Partiti democratici, Movimenti, Associazioni, cittadini, in ventotto città italiane contro l’Autonomia differenziata, il 16 gennaio. Buona la prima, ben riuscita la mobilitazione, anche se è arrivata con un certo ritardo. Anche secondo altri, non solo a mio parere, si è scesi in piazza solo a percorso parlamentare già avviato della riforma, il giorno stesso in cui il ddl Calderoli è approdato in Senato per la discussione.
La battaglia contro questo progetto scellerato e divisivo vede finalmente le prese di posizione, le contestazioni, i fermi «NO!» gridati in pubblico in tanti centri storici e simbolici del Paese. Ce n’è voluto, però, per portare fuori dalle aule istituzionali e dalle pagine dei giornali gli argomenti a difesa del Mezzogiorno dall’erede autentico del disegno separatista padano-veneto predicato da Bossi e Miglio. A lungo siamo stati in pochissimi a richiamare febbrilmente l’attenzione, grazie alla sensibilità della «Gazzetta del Mezzogiorno» e di altri quotidiani, non molti, che hanno ospitato i j’accuse di pochi profeti del meridionalismo 4.0, come Lino Patruno e Gianfranco Viesti. Ho scritto il primo articolo di una serie ininterrotta contro la follia dell’autonomia differenziata alla fine del 2018, sulla «Gazzetta». In precedenza, ero in Consiglio regionale quando ho sfidato i colleghi con la pochette verde nel taschino sul cavallo di battaglia leghista: il federalismo e prima ancora la «devoluzione» di Bossi.
Se però quei progetti si sono arenati (in parte bocciati con un provvidenziale referendum abrogativo), questo viaggia invece con il vento in poppa dell’ambiguo patto di reciprocità tra l’autonomia delle Regioni made in Lega e il Premierato tanto caro a Giorgia Meloni. Entrambi gli obiettivi prioritari del Centrodestra prevedono modifiche costituzionali che cambierebbero l’assetto dei poteri dello Stato fissato dalla Carta costituzionale repubblicana, in modo tanto efficace: «la più bella», nata dalla Resistenza e dai guasti della disastrosa dittatura fascista.
È evidente il doppio interesse politico: procedere insieme su due percorsi differenti e in due territori diversi, che dovrebbero fare capo all’una e all’altra formazione politica, al Nord la lega e al Sud Fratelli d'Italia. Il partito di maggioranza relativa non fa altro che spalleggiare l’alleato padano, quando tenta di venire incontro al Mezzogiorno con l'emendamento che prevede il finanziamento in tutta Italia dei Lep. Dicono di venire in soccorso al Meridione, ma non dicono per realizzare i Livelli essenziali delle prestazioni ci vorranno anni ed altri anni per finanziarli.
Il complotto politico «criminale» è sottile e grossolano al tempo stesso. In un Paese già spaccato tra Settentrione e Meridione per condizioni diverse di sviluppo, di crescita e di occupazione. Lassù si cova il disegno egoista del «prima il Nord», nel Sud si continua a subire disastro Ilva, la crisi dell’automotive (la Stellantis di Melfi soffre), lo spopolamento e la fuga dei giovani laureati verso il lavoro, che qui non si trova. Mezza Italia mortificata, solo perché meridionale, da una rete infrastrutturale, viaria, ferroviaria antiquata, più vicina al dopoguerra che al terzo Millennio. Resta inspiegabile, poi, la mancata corresponsione dallo Stato alle Regioni dei Fondi di Sviluppo e Coesione. Con il via libera all’autonomia «tanto poi arriveranno i Lep», la Lega potrà dire ai suoi elettori «ho vinto», FdI si ergerà a paladino dei meridionali.
È certo che questo non va e non deve andare. La lotta contro il progetto Lombardo-Veneto dovrà entrare nel vivo, peraltro nella consapevolezza dei pesanti profili di anticostituzionalità nell'iniziativa legislativa leghista. Autonomia e Lep non coincidono nei tempi di realizzazione. Le Regioni del Nord sono già pronte a partire con l’autonomia allargata e prenderebbero subito il largo, rispetto a un Sud che dovrebbe attendere anni prima di vedere realizzati i Livelli essenziali, che non si possono mettere in campo a breve.
Secondo i principi costituzionali, l’autonomia si può concedere se tutte le Regioni italiane sono allo stesso livello, ma nel contesto di divario socio-economico attuale tanto già evidente è chiaro che non è pensabile consentire a chi è già forte di partire e diventare ancora più forte, mentre a chi sta indietro si lascia solo la speranza di attendere un’ipotetica crescita in futuro. Significherebbe porre in essere una sperequazione tra i territori del Paese, in aperta violazione del dettato dell'art. 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali...».
Quindi, i profili di incostituzionalità sono dalla nostra parte e ci sarebbe sempre la possibilità di promuovere un referendum abrogativo. Siamo anche «curiosi» di vedere come voteranno i parlamentari meridionali del Centrodestra, se anche loro, per disciplina di partito, vorranno affondare la loro Terra e condannarla ad una umiliante e ingiusta emarginazione di sottosviluppo .
Buona la prima, ripeto, siamo andati nelle piazze, la battaglia contro l’autonomia differenziata è cominciata sul serio, la battaglia continua. E sarà lunga. La facciano propria, fino in fondo, il Centrosinistra, le Regioni meridionali, i sindaci del Sud, i Partiti e i Sindacati, tutte le forze sociali, i Movimenti, il Volontariato, l'Associazionismo, il mondo della scuola e delle università, il sistema sanitario, Confindustria con le imprese, i cittadini, le donne e gli uomini, le ragazze e i ragazzi che rispettano i valori costituzionali e credono in un’Italia unita, con pari diritti e dignità per per tutti gli italiani.