Morirà presto Indi Gregory, anche se quel corpicino di appena 8 mesi può resistere ore e ore, forse giorni, al distacco delle macchine che l’hanno tenuta vita. Indi non saprà mai cosa significa vivere, gioire e soffrire, amare e piangere, giocare o lavorare. Non lo saprà perché nonostante il governo italiano si sia offerto ad accoglierla nell’ospedale Bambin Gesù, i giudici inglesi hanno stabilito che Indi deve morire lì, in un anonimo hospice londinese dove due disperati genitori, Dean Gregory e Claire Staniforth, la stanno vegliano sino all’ultimo.
Sembra paradossale, ma c’è un filo che lega Indi alla Puglia: la sua terribile malattia. Si chiama aciduria combinata, è una patologia mitocondriale gravissima, decretata come terminale dai medici del Queen's Medical Centre di Nottingham, scoperta nell’ormai lontano 2014 dai ricercatori dell’Università di Bari. Ecco, dieci anni di ricerca genetica non hanno portato alla cura con cui salvare la vita a Indi. Che deve morire perché continuare a vivere attaccata ad un tubo è «contrario al suo miglior interesse», come recita la sentenza del giudice del Regno Unito.
Sembrerà assurdo, ma le legislazioni nazionali su un tema così alto, la vita (non la forma dello Stato, l’organizzazione sociale o i diritti sociali. La vita), sono davvero differenti tra loro. In Italia non puoi scegliere di morire in età adulta e chi ti accompagna al «miglior interesse» della morte in un paese estero finisce perfino sotto processo, come accaduto più volta a Marco Cappato. Nel Regno unito non puoi scegliere di continuare a vivere attaccato ad un tubo e ti respingono pure la richiesta di trasferimento in Italia, nonostante il riconoscimento della cittadinanza dato in un lampo dal governo per consentire ai genitori di Indi di trasferirla al Bambin Gesù e continuare a tenerla in vita.
A nulla è valso sia il lavoro dei legali dei genitori sia l’intervento del Governo italiano, con la premier che si è spinta in un appello senza precedenti al ministro della Giustizia del governo Tory, Alex Chalk, a «sensibilizzare» la magistratura per provare a indurla a cedere la giurisdizione sul dossier all’Italia, sulla base d’un’interpretazione ampia della Convenzione dell’Aia del '96 in materia di cooperazione internazionale. Niente, Indi deve morire, in un anonimo hospice con i genitori costretti a guardare la sua lenta agonia dietro i vetri. Deve morire pur non avendo mai potuto vivere nei suoi brevi 8 mesi, durante i quali non è mai uscita da un ospedale.
Si dirà: ma quella non è vita. Facile dirlo, però, quando la vita almeno un po’ l’hai vissuta. Come l’aveva vissuta dj Fabo o Eluana Englaro: condannati giovani ad una «non-vita» nel letto di un ospedale finché genitori o parenti non hanno deciso di farli riposare per sempre sapendo che questo chiedevano. Troppo giovani per morire, certo, ma almeno il sapore della vita l’avevano toccato. Indi no, Indi morirà sapendo solo cos’era l’amore dei suoi genitori dietro quegli occhi smarriti che ogni giorno vegliavano su di lei. Null’altro. E ci lascerà col dubbio che agita, ormai da troppo tempo, la nostra società, legittimamente divisa sul diritto-dovere di vivere o morire, mentre il Parlamento dorme sonni tranquilli e lascia nei cassetti ogni possibile decisione su un tema così grande: cos’è davvero giusto, staccare il tubo a Indi e non consentirle di superare i confini geografici in cui è nata solo per applicare alla lettera le leggi britanniche o consentirle di continuare a vivere, seppure in condizioni così difficili, in un altro Paese?.
Da chi è stato eletto per rispondere a queste domande legiferando nel miglior modo possibile, sinora solo silenzi. Dal fronte italiano, infatti, oltre alla premier a farsi sentire sono rimasti solo gli attivisti pro-vita che hanno hanno appoggiato e promosso strenuamente la battaglia della famiglia - assieme a un team di avvocati e ad associazioni cristiane inglesi - in favore di un prolungamento dell’assistenza e poi dell’opzione del trasferimento all’ospedale pediatrico romano, come accaduto in altre situazioni analoghe precedenti. Ma i loro sforzi sono risultati vani.
Addio piccola Indi, riposa in pace. Questo mondo incapace di decidere tra la vita e la morte, tra la pace e la guerra, tra l’odio e l’amore, non ti merita.