Questo mio contributo intende dare un apporto conoscitivo sul tema dei divari Nord-Sud e sui risultati delle politiche di coesione territoriale nell’ultimo ventennio per sollecitare una maggiore attenzione collettiva sulle politiche in corso e su quelle future.
La questione meridionale continua ad essere viva e vegeta. Certo, il Mezzogiorno d’Italia non è più quello all’indomani dell’Unità d’Italia, o quello all’indomani della Seconda guerra mondiale.
Le trasformazioni socio-economiche dall’unificazione italiana ad oggi sono state rilevanti, ma resta il fatto che il Mezzogiorno continua a marcare divari, in termini di Prodotto Interno Lordo per abitante, con il Centro Nord e con le regioni più ricche d’Europa, divari che sono aumentati significativamente nell’ultimo ventennio.
Infatti, nei primi anni 2000 il Mezzogiorno, nel suo insieme, aveva un PIL per abitante pari solo a circa il 54% della media del quartile delle regioni più ricche dell’Ue27; dopo un ventennio questo valore è ulteriormente peggiorato, attestandosi sotto il livello del 50%.
Andando un po’ più nel dettaglio, vediamo che agli inizi degli anni 2000 solo la Calabria rientrava nel quartile delle regioni più povere d’Europa; nel 2021 in questo gruppo sono scivolate anche il Molise, la Campania, la Puglia e la Sicilia, regioni che nel 2003 rientravano fra le regioni con livello di reddito medio-basso. Nel gruppo delle regioni europee con livello di reddito medio-basso restano la Sardegna e la Basilicata, a cui si aggiunge l’Abruzzo, che un ventennio prima era classificata fra le regioni con reddito medio-alto.
Agli inizi degli anni 2000 delle tredici regioni del Centro-Nord, comprese le province autonome di Bolzano e Trento, undici erano collocate nella fascia delle regioni europee ad alto reddito e due nella fascia di reddito medio-alto.
Nel 2021 nella fascia europea di reddito alto sono rimaste solo cinque regioni (P.A. di Bolzano, Lombardia, P.A. di Trento, Valle d’Aosta, Emilia Romagna), le altre sei (Lazio, Veneto, Friuli-Venezia-Giulia, Liguria, Piemonte, Toscana) sono scivolate nella fascia di reddito medio-alto, insieme alle Marche.
L’Umbria, che era nella fascia delle regioni europee con reddito medio-alto è scivolata nella fascia di reddito medio-basso.
Certamente non possiamo dire che le regioni italiane del Centro-Nord siano diventate il nuovo Sud dell’Europa, ma rischiano di diventarlo, almeno alcune di esse. In ogni caso, tutto il Centro-Nord ha perso competitività in quest’ultimo ventennio, ciò che costituisce la questione settentrionale.
I risultati delle analisi qui fatte ci portano a concludere che accanto a una questione meridionale ora è, più che mai, evidente una questione settentrionale.
Se il Sud e il Centro-Nord mostrano entrambi difficoltà di crescita all’interno dell’Europa è evidente che esiste una questione nazionale tutta italiana, che accomuna le due aree geografiche.
A tal riguardo, i dati sono eloquenti: il PIL per abitante italiano agli inizi degli anni 2000 era sopra la media europea, ora è sotto.
In un ventennio, l’Italia ha progressivamente perso competitività. A cosa è dovuto tale risultato?
Analizzando la produttività del lavoro, che ovviamente risente delle innovazioni tecnologiche e delle competenze espresse dai lavoratori, nel 2000 era in Italia di circa 28 punti sopra la media europea, nel 2021 questo vantaggio si è ridotto a soli 2 punti.
Ancora più evidente è la perdita di produttività rispetto alle principali economie europee, Germania e Francia. Nel 2000 l’Italia aveva due punti in più della Germania, ma nel 2021 ne ha avuto 12 in meno. Rispetto alla Francia nel 2000 aveva 7 punti in meno, aumentati sino a 18 nel 2021.
Non bene va il confronto anche in termini di tasso di occupazione: nel 2002 l’Italia presentava un valore del 55,4% contro il 61,1% della media comunitaria, il 62,4% della Francia e il 65,4% della Germania; nel 2022 l’Italia ha registrato un tasso pari al 60,1% contro il 69,8 della media europea, il 68,1% della Francia e il 76,9% della Germania.
L’Unione europea ha tra i suoi obiettivi quello di ridurre le disparità nei livelli di crescita delle regioni europee, attraverso la politica di coesione territoriale, ma nell’ultimo ventennio tali disparità sono diminuite di poco. In taluni Stati, in particolare in Italia, sono cresciute.
Prendendo in esame, gli Stati che in quest’ultimo ventennio hanno maggiormente beneficiato dei fondi europei per la coesione territoriale, vediamo che le disparità regionali sono cresciute in Italia, Grecia, Polonia, Ungheria, Romania e Repubblica Ceca. Sono invece diminuite in Germania, Francia e Portogallo. Sono rimaste sostanzialmente stabili in Spagna.
Questi risultati evidenziano due questioni importanti. In primo luogo, l’entità e la qualità delle politiche di coesione territoriale portate avanti dall’Ue. In secondo luogo, la complementarietà delle politiche di coesione territoriale condotte dai singoli Stati membri.
In altri termini, se da una parte i fondi europei per la coesione territoriale sono da considerare insufficienti rispetto alla loro mission, dall’altra sono rilevanti anche la quantità e la qualità dei fondi che i singoli Stati membri destinano alla coesione territoriale.