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Io, inviato in Palestina, testimone dell’intifada del 1987 con Cossiga e Andreotti

 
Michele Cristallo

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Michele Cristallo

Io, inviato in Palestina, testimone dell’intifada del 1987 con Cossiga e Andreotti

Ero inviato della Gazzetta al seguito della delegazione italiana guidata dal presidente della Repubblica: una visita concepita a metà tra pellegrinaggio e incontri istituzionali, ma che assunse inaspettatamente una importante valenza politica

Martedì 24 Ottobre 2023, 12:20

Mentre la diplomazia internazionale si attiva, con scarsi risultati, per consentire al popolo palestinese intrappolato nella striscia di Gaza, di mettersi in salvo dalle bombe, si intrecciano i commenti e le polemiche tra filopalestinesi, filoisraeliani, antisemiti, simpatizzanti di Hamas e così via. Al centro il dramma di milioni di persone e un nodo complesso e difficile da sciogliere. Storia vecchia. La memoria va al dicembre 1987, a pochi giorni dal Natale, all’epoca della prima intifada della quale fui occasionale testimone. Ero inviato della Gazzetta al seguito della delegazione italiana guidata dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga con il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, in visita di Stato in Israele (dal 19 al 21 dicembre). Una visita concepita a metà tra pellegrinaggio e incontri istituzionali, ma che assunse inaspettatamente una importante valenza politica. Per me una trasferta come tante in quegli anni, e mai avrei immaginato di scrivere di un evento che avrebbe nei decenni successivi scandito drammaticamente la storia infinita e travagliata del rapporto tra due popoli, quello israeliano e quello palestinese.

Sabato 19 dicembre, poco dopo le undici giunse notizia di scontri tra palestinesi e israeliani nella zona del nuovo centro commerciale arabo fuori le mura e al di là della Porta di Erode detta anche Porta dei Fiori. Nel giro di mezz’ora mi ritrovai, con alcuni colleghi, al centro di una situazione per molti versi paradossale: da una parte ragazzi, quasi tutti studenti, giovanissimi, alcuni di 13-14 anni, palestinesi che lanciavano pietre; dall’altra soldati dell’esercito israeliano che rispondevano con bombe lacrimogene, proiettili di gomma e cariche a base di manganellate.

Sperimentavo per la prima volta l’effetto terribile del gas lacrimogeno; venne in mio soccorso un collega israeliano che mi consegnò mezza cipolla raccomandandomi di tenerla sotto il naso: un eccezionale e fortunoso antidoto contro la lacrimazione e la difficoltà respiratoria.

Stavo assistendo alla prima intifada, la rivolta popolare contro la repressione israeliana a Gaza e in Cisgiordania. La protesta era iniziata tre giorni prima con lo sciopero: negozi chiusi, barricate, copertoni bruciati e il lancio delle pietre. Teatro della rivolta la via Salaheddin, la grande arteria commerciale di Gerusalemme Est.

Analoga situazione a Ramallah, Betlemme, Naplouse e alcune località della Cisgiordania. La guerriglia si concluse intorno alle 13: alcuni feriti tra dimostranti e soldati, trenta arresti. Ad alimentare la tensione la notizia di un giovane di 20 anni investito da un’auto della polizia e morto dopo il ricovero in ospedale.

Un eccezionale spiegamento di polizia fu disposto quando, poco dopo le 13, il presidente Cossiga attraversò la via Salaheddin per recarsi a visitare l’ospedale dell’Unwra, l’agenzia sanitaria dell’Onu che assiste i rifugiati palestinesi all’epoca particolarmente numerosi (oltre 370mila), operativa anche in Cisgiordania, nella striscia di Gaza, Giordania, Libano e Siria.

L’evento non passò inosservato alla delegazione italiana e nel pomeriggio il ministro Andreotti incontrò i leader palestinesi del territorio occupato. All’incontro, durato oltre due ore e al quale intervenne, a sorpresa lo stesso presidente Cossiga, seguì una conferenza stampa. La visita assunse così un marcato colore politico. Il presidente Cossiga fu molto chiaro: «La strada più facile – disse – sarebbe stata quella di non venire qui, ma abbiamo preferito renderci conto di persona, nei limiti del possibile, con un rapporto franco, amichevole, certo, con voi e anche con le autorità israeliane».

Andreotti sottolineò l’auspicio più volte manifestato anche dalla comunità europea, di una conferenza internazionale in grado di dare a tutti una base di discussione più certa, più concreta. Quindi il punto di vista del Governo italiano in difesa dei diritti dei palestinesi e degli israeliani. «Oggi – affermò – esistono problemi di solidarietà? Come manifestarla nell’immediato? Abbiamo parlato di progetti, ma sarebbe intempestivo dire quali però è possibile studiare qualche appoggio e anche qualche finanziamento. Ci chiedono di realizzare a Gaza un centro culturale italiano e il Governo ha ritenuto interessante questa richiesta». Un Centro di scambio Italo- Palestinese fu in effetti realizzato nel 2011 per dare sostegno alle forme di comunicazione e di interscambio culturale e sportivo con la popolazione civile della Striscia di Gaza.

Domenica 20 luglio, quinta giornata di sciopero a Gerusalemme e la tensione era ancora alta; poca gente per le strade, il Governo aveva disposto la chiusura di tutte le scuole, da Gaza non arrivavano taxi perché tutte le strade erano state bloccate. In questo clima si svolse il colloquio di Cossiga e Andreotti con il primo ministro israeliano Shamir al quale il nostro presidente «da amanti della pace, ma con molta franchezza», ribadì «il profondo turbamento dell’Italia per quanto sta accadendo nei territori occupati e da Israele – aggiunse con forza - si attende iniziative che garantiscano il diritto alla vita e alla incolumità delle popolazioni dei territori occupati». Piuttosto duro Andreotti allorché fece osservare che «le tensioni di questi giorni dimostrano che, in mancanza di soluzioni politiche, si è esposti tutti al rischio di una escalation di violenza». Ecco quindi la necessità di una conferenza internazionale per consentire a tutti gli interlocutori di avere pari diritto nei colloqui e di superare anche le difficoltà di carattere psicologico e politico che incontri bilaterali potrebbero portarsi dietro». Infine un chiaro accenno alle zone congestionate, tipo Gaza. «Io stesso – disse il nostro ministro degli esteri - se vivessi in un campo di rifugiati ed avessi davanti a me la prospettiva che mio figlio dovrà vivere in un campo di rifugiati, non so se sarei capace di essere un predicatore della non violenza».

Shamir incassò elegantemente. Meno comprensivo si dimostrò il segretario del Ministero degli Esteri Isaia Anug, praticamente il numero tre della diplomazia israeliana, il quale escludeva ogni possibilità di ricette per la pace. Forti dubbi espresse anche sulla tenuta unitaria dei palestinesi. Quanto alla Conferenza internazionale era del parere che si trattasse «di una ricetta che Israele non può accettare. Chi sostiene questa necessità non si rende conto che l’unica via per arrivare alla pace è il negoziato diretto tra Israele e i singoli Stat arabi come è avvenuto in passato tra Israele e l’Egitto».

Nelle stesse ore in piazza San Pietro, il papa Paolo VI all’Angelus esprimeva solidarietà ai palestinesi «sofferenti e vittime di contrapposizioni e ingiustizie». Con un folto gruppo di militanti dell’Olp era presente anche il vescovo Hylarion Capucci, vicario patriarcale di Gerusalemme, condannato da Israele a 12 anni di carcere per traffico d’armi e liberato tre anni dopo per intercessione di Paolo VI per motivi umanitari ma con obbligo di esilio (morì nel 2017 a 94 anni).

Al rientro in Italia le forze politiche si chiesero se quel viaggio fu utile. Sia Cossiga, sia Andreotti e le stesse autorità israeliane lo ritennero «soddisfacente» anche se non si registrarono risultati clamorosi. Unica voce fuori dal coro il Partito repubblicano che stigmatizzò l’incontro con i leader palestinesi senza una consultazione preventiva con il Governo ospitante e comunque prima ancora degli incontri ufficiali con i rappresentati di Israele.

Oggi la situazione è precipitata drammaticamente, ma molti aspetti del complesso problema sono immutati, così come la vocazione alla dialettica con una buona dose di polemiche e distinguo, tra i cosiddetti profeti del pacifismo immaginario, i sostenitori della politica islamico integralista alimentata dagli errori attribuiti a Israele (aggravati dalle bombe sull’ospedale di Gaza City), gli attori del fondamentalismo palestinese di Hamas, il riemergere di varie forme di ostilità antiebraiche. Come accadeva a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta.

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