In queste giornate convulse e difficili, con i timori e le ansie per quanto è successo e sta accadendo in Medio Oriente, in molte chiese, comunità e anche famiglie, si sono svolti momenti e incontri di preghiera per la pace, accogliendo l’invito che il cardinale Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, ha diffuso e proposto non solo ai credenti, ma a “tutti gli uomini di buona volontà”.
Non è la prima volta, naturalmente, che si realizzano cerimonie e iniziative similari: ce ne sono state diverse, in questi mesi, durante la guerra che prosegue fra Russia e Ucraina, mentre la tensione fra Israele e Hamas, dopo l’eccidio, la cattura degli ostaggi e la dura reazione israeliana, ora occupa stabilmente i nostri preoccupati stati d’animo.
Non sappiamo, però, se la preghiera, che è da sempre un inquietante tema umano e religioso, possa realmente costituire uno dei mezzi attraverso i quali incidere sul corso tragico della storia, lasciandoci intravedere un paesaggio di pace e di cessazione dell’odio e della guerra che, almeno presuntivamente, tutti noi desideriamo e auspichiamo.
Un fronte su cui la preghiera collettiva si è spesso scontrata con il proprio fallimento, infatti, è proprio quello della pace. Per ricordare solo un esempio, più di un secolo fa, nei mesi che segnarono il passaggio dal pontificato di Pio X a quello di Benedetto XV, si levarono preghiere affinché cessasse la guerra appena deflagrata, anche se – va detto – ce ne furono paradossalmente anche altre che chiedevano a Dio di far vincere la propria parte. Il conflitto e l’”inutile strage”, così come l’aveva definito il papa, durò, però, per oltre quattro anni e assunse, come si sa, la dimensione di una tragedia senza precedenti.
Quasi dieci anni fa, poi, nel giorno di Pentecoste, papa Francesco promosse in Vaticano un incontro di preghiera per la pace fra israeliani e palestinesi; l’aspetto inedito dell’iniziativa fu che ad essa parteciparono di persona il presidente israeliano Shimon Peres e quello dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen. Nel 1914 era del tutto inimmaginabile che un papa chiamasse intorno a sé a pregare per la pace sovrani e capi di stato schierati su fronti contrapposti, ma pur sempre leader di nazioni “cristiane”. Eppure, a quanto ci è dato di constatare nel corso del tempo, l’esito di quei momenti di preghiera è stato lo stesso: siamo di fronte ad un suo naufragio, e perlomeno il saldo di quegli incontri è stato negativo.
Dunque, sarebbe inutile e inefficace la preghiera? Davvero essa e la sua forza debole possono far breccia nei cuori e nella volontà dei contendenti e cambiare lo scenario dei conflitti? Il Dio che preghiamo è lo stesso Dio che dovrebbe eliminare i mali? È lui, allora, il responsabile del fatto che essi esistono e non si risolvono? E noi siamo davvero in buona fede quando invochiamo la pace o siamo tentati di assumere la preghiera come “escamotage” per non prendere posizione, inviando un messaggio rassicurante al nostro inconscio che, magari contro la nostra stessa intenzione, smobilita la volontà e placa l’inquietudine? E infine: sappiamo confrontarci con il silenzio di Dio e vivere intensamente, senza saperla spiegare, la mancata risposta? Potremmo rispondere che la preghiera in genere e quella per la pace siano comunque necessarie e grate a Dio, ma che esse sembrano svanire entro il disegno insondabile e misterioso della sua volontà; forse non cadremmo in quella tentazione se avessimo conservato la capacità di pensare gli eventi anche in termini di teologia della storia, e se l’utopia della pace non potesse apparire soltanto come il prodotto affabulato e confuso delle etiche del sentimento oggi dominanti, e comunque poco interessate alla memoria e alla responsabilità storica e politica.
Non si tratta di giudicare le intenzioni o di ignorare la buona volontà di chi prega: ci si chiede solo di evitare la retorica che spesso accompagna le preghiere per la pace, e di salvaguardare un senso alto del pregare che quando è tale non può ignorare l’esperienza spirituale del mancato esaudimento. In caso contrario, rischiamo di consegnare la preghiera per la pace solo ad una forma, sia pure inedita, di religione civile.