L’educazione è chiaramente un processo evolutivo che interessa non solo i ragazzi, gli adulti, le scuole e gli organismi chiamati pedagogici. Ormai è un parametro che «regola» le società attraverso modelli che chiamano in causa altri elementi come l'antropologia, la comunicazione e l'uomo nelle civiltà. Il Festival dell'Educazione di Brescia dal 4 all'8 ottobre 2023 ha posto delle questioni che si incentrano sul cambiamento delle generazioni negli ultimi vent'anni e toccano aspetti significativi della persona e della tipologia dell'educazione in un rapporto tra saperi multipli, educazione e apprendimento.
Ormai la valenza pedagogica dei modelli educativi riguarda il Nord come il Sud, Milano come Bari, l'Europa come i Paesi del Sud America. La Lucania degli anni Cinquanta aveva come elemento una questione tutta meridionale dei «particulari» sotto la spinta che andavano dalla politica alla antropologia: da De Martino a Salvemini e viceversa. Così la Puglia delle cattedre universitarie sulla pedagogia tradizionale applicata ai metodi comparati.
La differenza sta non nella pedagogia delle conoscenze e della capacità trasmissiva dei saperi bensì nelle strutture, se si vuole restare nel solo campo scolastico. Credo però che bisognerebbe allargare il campo e ritornare a un concetto di base che è antico. Ovvero: se vogliamo parlare di educazione bisognerebbe partire da un concetto forte, che mi ha sempre accompagnato, che è quello di educazione permanente. Una pedagogia cara alla Montessori un tempo. Noi abbiamo l'obbligo di formare. Ma sulla base di cosa?
Il Festival di Brescia ragiona anche su questo. Cercare di porre una pedagogia dell'uomo all'uomo. Mi pare un fatto centrale. Perché se la scuola ha un compito primario in ciò è anche vero che la famiglia resta il nucleo centrale di un primo approccio che condurrà ad un fare ulteriore che è quello della cosiddetta socializzazione, che conduce non solo verso i nuovi saperi costantemente in transizione, ma verso i nuovi futuri. Il nucleo famiglia di oggi non è più quello di dieci anni fa, certo. È cambiato non perché è cambiato il ruolo della famiglia tradizionale, ma perché è mutato il tempo della società.
Se le società non sono stabili e stazionarie è perché la geo formazione delle civiltà si è ampliata in una interazione comparativa. Anche le società del Sud sono in trasformazione. Non c'è più il «familismo amorale» di cui si parlava negli anni Cinquanta e neppure si può continuare nel presente moderno delle «terre del rimorso». Questo mondo ormai appartiene alle antropologie, ed è giusto che sia così. Ma non si può neppure porre una visione di confronto tra l'idea donmilaniana con quella della turboeconomia. Sul piano dei valori la discussione è aperta. Ciò che Don Milani poneva all'attenzione, utilissimo e significativo, un tempo in una educazione crescente nella realtà contadina e post contadina sino agli anni Settanta oggi non è più applicabile. I valori hanno sempre la loro logica importanza. Ma oggi abitiamo un tempo in cui l'apprendimento ha una velocità stratosferica e pensare a modelli importanti ma superati non porta a quell'approccio emozionante etico e morale dell'uomo all'uomo.
È cambiato l'uomo? Ma certo che sì. Non dal punto di vista biologico. Dal punto di vista di un approccio con le «cose». Non dico che bisogna adattarsi al tempo che muta. Ma fare i conti sul versante di una rilettura dei principi pedagogici mettendo insieme la tradizione, la società contemporanea e i passaggi epocali che hanno vissuto le civiltà. Non subito. Nulla si subisce senza la nostra volontà ricettiva. Ecco perché famiglia, scuola, nuclei abitativi si trovano in continuo effetto proposta/offerta/risoluzione in una fase di completa problematicità. Non parlo di crisi. Neppure di caos. Ma di attenzione.
Il compito dell'educatore oggi è molto complicato perché non solo ci troviamo in società in transizioni e competitive ma in società in fuga. Ciò avviene sia in ambito culturale che in ambito chiaramente economico e stabilire una armonia è il compito più difficile. Il dato di fondo però resta sempre uno. L'uomo. Educare l'uomo? Forse sì. Con quale tipologia di educazione? Con una cultura che sappia riconoscere l'importanza dell'umanesimo nella centralità della contemporaneità. Non parlo neppure di moderno o modernismo. Perché ciò che può essere moderno in questo istante tra tre istante è già non moderno. Di contemporaneità sì. Viviamo la corsa della e nella contemporaneità. E intorno a ciò mutano, infatti, i comportamenti, gli atteggiamenti, le interpretazioni.
Una educazione per l'uomo che fugge in una società in fuga. Su questo dobbiamo basarci per una reciprocità educativa in cui la pedagogia dell'apprendimento sia prima di tutto una educazione permanente delle conoscenze. Tra la società degli stanziali e la società dei migranti può sorgere una nuova pedagogia dell'uomo negli uomini che abbia come principio sì i valori, ma i valori dentro le famiglie trasformate, dentro la scuola che assorbe le necessità delle società, dentro le società stessa che interagiscono con le civiltà che sono il portato storico di ogni tempo, compreso quello che viviamo oggi. È certo che la scuola di ieri non ha senso se non come presenza storica e antropologica. Ciò è evidentissimo soprattutto in Italia e soprattutto in molte realtà meridionali. Ma il Sud su differenzia, attenzione, non per capacità pedagogiche, educative, culturali metodologiche bensì per le questioni strutturali e infrastrutturali. Gli educatori del Sud hanno una forza di proposta educativo-culturali immensa e intellettualmente sono attrezzati, preparati e consapevoli che l'apprendimento è emerga vitale. Il Sud ha la capacità pedagica del confronto nel tempo dell'educazione permanente che è la base per le nuove generazioni.