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Uno tsunami familiare chiamato Alzheimer: storia di una morte lenta

 
Rossana Gismondi

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Rossana Gismondi

Uno tsunami familiare chiamato Alzheimer: storia di una morte lenta

Giovedì 21 Settembre 2023, 13:00

Ogni 3 secondi nel mondo, una persona si ammala di demenza: quasi sempre si tratta di Alzheimer. Ogni anno si aggiungono 10 milioni di nuovi casi. Circa 55 milioni di persone in tutto il mondo. In Italia i malati sono 1.480.000. I pugliesi circa 80mila.

Ogni malato di Alzheimer è seguito costantemente da una persona: il cosiddetto caregiver. Di solito un figlio o un coniuge che smette di lavorare o una badante, se ce la si può permettere. Il che significa che la gestione diretta della malattia coinvolge oltre 100 milioni di individui. Ancora: in Italia l’assistenza agli ammalati costa 11 miliardi di euro l’anno, di cui il 73% a carico delle famiglie. Cifre, numeri e statistiche, in crescita esponenziale specie nei Paesi occidentali, poiché le demenze colpiscono soprattutto gli anziani: e le popolazioni, Italia in primis, sono sempre più vecchie.

Non esistono cure risolutive ma solo percorsi assistenziali di recupero (laddove ancora possibile) delle capacità residuali, e di aiuto e sostegno ai familiari che quotidianamente affrontano la malattia con il malato.

«La ricerca scientifica sull’Alzheimer, nonostante la preoccupazione dei Governi per l’espandersi della malattia – dice la presidente di Alzheimer Italia, la barese Katia Pinto- ha fino ad ora ottenuto pochi fondi rispetto ad altre gravi malattie a forte impatto sociale: si riteneva che la demenza colpisse solo gli anziani ormai fuori dalla capacità produttiva. Così non è più: ultimamente sta attaccando sempre più soggetti giovani, al di sotto dei 65 anni. Addirittura molti casi si diagnosticano a 40 anni come Alzheimer giovanile. Nel 2014 – continua la presidente Pinto - l’Italia ha istituito il Piano Nazionale delle Demenze e, nel 2020, sono stati stanziati, per tre anni di ricerca, 15 milioni di euro. Triennio che nel prossimo ottobre si conclude. Ad oggi non sappiamo ancora se verrà rifinanziato».

Oggi è la giornata mondiale dedicata all’Alzheimer: in questa settimana studi, ricerche, dati, numeri e statistiche verranno resi noti in tutto il mondo. La chiamano la malattia dei ricordi. Che svaniscono. Ma è anche molto altro. Per me è un tovagliolo ripiegato mille volte con tanta fatica. Una grafia armoniosa che diventa incomprensibile fino a ridursi ad uno scarabocchio. Un giornale letto ad alta voce perché l’altro non riesce più a leggere. È l’incapacità di esprimere un’opinione su un sapore, una data, men che meno su un fatto. È lo sguardo che fissa un punto lontano senza vedere nulla. È non avere più una vita per consentire al malato cui sta dedicando la tua, di viverne una dignitosa. È una radiografia fatta in due, abbracciati su un lettino, perché sei l’unica persona che riesce a calmarlo e no, non vuoi che sia sedato o peggio, legato: perché negli ospedali nessuno ha formazione, tempo, percorsi per trattare un malato di Alzheimer. È un’intelligenza brillante, una narrazione affascinante che muoiono ogni giorno, un po’ alla volta. E non c’è cura, solo rabbia e impotenza.

È un padre che non ti riconosce, che non ricorda come ti chiami ma che, pure, ti asciuga con infinita tenerezza le lacrime sulle guance, come quando eri bambina.

Per me, e per milioni di persone, l’Alzheimer non è solo statistica e ricerca, numeri e terapie. È sofferenza solitaria e infinita, perché gli altri temono l’abisso e scompaiono: spesso dura anni e preghi che a un certo punto finisca, eppoi quando finisce vorresti che non fosse finita, perché – dopo - ti sembra che il sole splenda meno. L’Alzheimer è un male subdolo che arriva in silenzio e fatichi a riconoscerlo, per poi diventare potente, fino a quando non sconvolge la vita di chi ne è colpito e di chi deve affrontarlo. A mani nude. Come uno tsunami.

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