Lunedì 08 Settembre 2025 | 17:59

Sbarchi, numeri e propaganda, ma sui migranti dobbiamo restare umani

 
Enrica Simonetti

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Enrica Simonetti

Sbarchi, numeri e propaganda, ma sui migranti dobbiamo restare umani

La vita calpestata è una costante dei nostri tempi terribili. Se pensiamo alle migrazioni, i nostri occhi sembrano ormai drammaticamente abituati al ripetersi delle tragedie, ai video degli sbarchi, ai numeri di arrivi annunciati insieme alle previsioni meteo

Mercoledì 20 Settembre 2023, 14:00

Il barchino  di ferro lascia il mare, viene sollevato da una gru e sale verso il cielo. Volteggia un attimo, poi è accatastato su un enorme camion, dove rischia di spezzarsi ancora. Porto di Lampedusa, sole fortissimo e mare azzurro: questa immagine delle carrette rottamate sta raccontando al mondo lo smaltimento dei mezzi usati dai migranti. Mette i brividi osservare queste piccole e grandi barche malconce, arrugginite, in cui si sono vissute odissee umane indicibili. Tanto che i natanti hanno ormai perso ogni connotazione marina: più che di barche, hanno l'aria di bare e ondeggiano invecchiate dalla salsedine. 

La vita calpestata è una costante dei nostri tempi terribili. Se pensiamo alle migrazioni, i nostri occhi sembrano ormai drammaticamente abituati al ripetersi delle tragedie, ai video degli sbarchi, ai numeri di arrivi annunciati insieme alle previsioni meteo. Brindisi, sbarcati in 471, tra loro 205 bambini; in arrivo 600 a Reggio Calabria; 300 trasferiti da Pantelleria a Termini Imerese. Porto Empedocle, in centinaia, affamati e assetati in fuga verso la città. Ma si può continuare a considerare sciagure umane come un complesso di arrivi e partenze?

Il fenomeno migratorio è un tema di portata enorme, che non si esaurisce in poche stagioni. Non può essere di destra o di sinistra: è una questione umana. Con quello che accade nei Paesi africani, adesso assediati anche dalle crisi climatiche oltre che dalle povertà e dalle guerre, una cosa è chiara: ciò che oggi si definisce «emergenza» sarà un fenomeno costante. La Francia s'irrigidisce, il Regno Unito si chiude nella roccaforte Brexit, l'Europa in campagna elettorale si affida ai proclami come quel «decidiamo noi chi entra», che sembra avulso dalla realtà.

Un mondo senza identità vive una stagione di paura. Ai talk show che si occupano del tema quando ci sono «belle» immagini da mandare in onda, qualche esperto di turno ogni tanto ricorda che il problema ha due facce, quella dell'umanità e quella della legge. Dimenticando che – come sa bene ogni giurista – il Diritto non si discosta dall'umano e che ogni norma tiene presente la condizione dell'essere Persona. In questo 2023, in cui cadono i 75 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Umanità, vanno forse ripassati quei 30 articoli ideati parola per parola nel 1948, quando la Seconda Guerra Mondiale e le sue oppressioni erano appena terminate. L'anelito di speranza da cui nacque quel documento di genesi mondiale (appunto, mondiale!) fu quello di evitare il ripetersi degli orrori, garantendo un diritto alla dignità umana, un diritto che - incredibilmente - ancora oggi langue.

E quindi? Dobbiamo tenerli tutti a casa nostra? Così dicono quanti considerano l'immigrazione un'invasione (altra parola-mantra). L'Italia è un Paese avvolto dal mare e per nostra natura geografica e per posizione, siamo la meta, il sogno: nello struggente e realistico film di Matteo Garrone Io, capitano, giustamente premiato con il Leone d'Argento alla Mostra del Cinema di Venezia, i due giovanissimi cugini senegalesi pronti a fuggire in Italia, guardano i video, cantano le canzoni italiane, sgranano gli occhi davanti alle immagini del nostro Paese. «Mammia, mia, Italia», si dicono ridendo, dal buio polveroso delle loro catapecchie. E il film mostrerà dopo cosa li aspetta, portandoci con loro in un viaggio allucinante, tra deserti, fatica, corruzione di ogni livello. Soldi ai libici, soldi ai controlli, esistenze vendute, con un mercato delle vite e della schiavitù di fronte al quale non possiamo restare inermi.

Ma il punto è questo. Immaginare che uno Stato, due Stati, un'Europa, riescano a risolvere tutto con un provvedimento, con le promesse di chiusura, con gli slogan politici e con le prese in giro mediatiche è impossibile. Che serva organizzare meglio l'accoglienza è chiaro, ma poi? La detenzione, i rimpatri sbandierati, l'ammassare gente nei centri e nell'oblìo sono operazioni ingiuste e altrettanto costose. La sensazione di impotenza si vince anche con la coscienza dei numeri, con l'allargamento dei nostri orizzonti: non possiamo restare vecchi, chiusi e senza figli; non possiamo neanche accogliere il mondo intero ma creare una seria gestione dei flussi sì. Chi ondeggia nel Mediterraneo va salvato, è la legge del mare e dell'essere umano, del restare umani. Poi, la redistribuzione dei migranti, l'organizzazione delle cifre, le normative da applicare sono cose da decidere tutti insieme in Europa. Rispettando le dignità umane di ciascuno, scacciando le paure insensate dettate dalla precarietà e dalla rabbia, i veri mali sociali di cui siamo affetti. L’Europa è la grande meta di questi migranti affamati di vita e di diritti. Ai quali serve tutto, tranne una cosa: la propaganda politica fatta sulla loro pelle.

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