Chi fu Hegel e cosa fece? Il tempo cammina su una corda tesa tra il pensiero che estrapola la parola e la musica che si respira nel linguaggio. E così che l’ultimo Lucio Battisti, (Busto Arsizio, 5 marzo 1943-Milano, 9 settembre 1998) dalle emozioni a dieci ragazze per me, ci traccia una via. Siamo a 25 anni tondi dalla scomparsa di Lucio Battisti. Quel Battisti di Pensieri e parole ad Hegel «romantico» e sentimentale.
Inconfondibile con il cerchio magico del viaggio di un cuore che «amò se stesso» senza però divagare. Infatti «L’animo umano è il nulla se non è/una pietra da scalfire». Perché la memoria è il tutto ed è nella memoria («marmorizzando») che la bellezza si spinge verso una deriva che raccoglie una «bellezza riunita» che ha «più difesa di sé». Nel silenzio tutto ha un assoluto in cui si scorge la «finitezza» di un gesto che è «compreso/in tutto quello che sa/di te stessa quel gesto». Questo album di Lucio Battisti appartiene al 1994. Ha una singolarità testuale emblematica ed è uno specchio di una fenomenologia che parte da Seneca e giunge a Tubinga. La città di Hegel, appunto. Dove c’è sempre «qualcosa che chiude» e che «schiude» e tutto potrebbe sembrare «il sussurro dell’acqua» tra le sponde di Achille e le «spente nature morte virtuosamente».
E c’è di più. Soprattutto quando non si sa «Se lo spirito s’eccita/per caso esilarando/oppure ardendo/bruciando...» in una estetica che ha «un tratto/sicuro di matita». Perché è qui che si consuma la vita ed è qui «che siamo». Dove «la voce del viso» fa affiorare «l’anima/passando sopra/la tua immagine». Un lavoro che ha visto la realizzazione in musica dei testi di Pasquale Panella. L’ultimo di Lucio Battisti, ovvero il quinto con Panella e il 20esimo di Battisti. La profonda dialettica hegeliana incontra l’estetica in una filosofia dei saperi. Una estetica dei sentimenti e delle emozioni c’era in Mogol. Con Panella si respira una estetica comparata. In Hegel si è lungo il tracciato di «un bel volto/bello, se lo si può guardare» attraverso «un disimparare/del mondo questo e quello».
Dunque. Qui c’è l’estraneità che campeggia. Il sentirsi estranei in un mondo in cui si porta sul viso «la sintassi» che «non ha imperio/non ha nessun comando». Lì, ovvero nei precedenti anni con Mogol, c’è la maestria, l’amarsi un po’ tra le ombre e gli scogli dell’amore stesso e della vita. Amarsi un po’ «e non lasciarsi mai» perché si sa che «non si muore per amore» a cominciare dalla fine degli anni Sessanta del Novecento. Una fotografia mai ingiallita in cui basta «il tempo di morire/ fra le tue braccia». Il tempo di pensare e il tempo dell’amore. Sembrerebbe un Canto che ha dei Cantici il sospiro e il sentimento di un ritornare costantemente nella mente tra fiori rosa e fiori di pesco.
Ma chi sa se lei, lei la donna mito, verrà e non verrà con Dio al quale bisogna rivolgersi per capire un po’ cercando di comprendersi tra gli azzurri e i sali scendi con «il respiro del mio cuore». In attesa che i giardini soffiano sul vento di marzo osservando i carretti che passano mentre mi chiedo ci chiediamo «Come può uno scoglio/arginare il mare». Ed qui che la solitudine plana sul mare dei dubbi e non si sa dove andare: «Dove vai quando poi resti sola?».
Cosa vogliamo? Non lo so. Ma «vorrei... non vorrei ... ma se vuoi...». Ed è un salto poetico mimetico nel momento in cui si osservano «le stalattiti sul soffitto» mentre «i miei giorni con lei/io la morte abbracciai» e soltanto per lei ci si può svegliare. Insomma un intercalare di suoni e di intrecci di poesia che portano ad un linguaggio in cui realmente e metaforicamente il viaggiare è un correre «evitando le buche più dure/senza per questo cadere nelle tue paure». Lucio Battisti è il viaggio tra cavalcate e sperimentazioni che hanno definito un contesto sia musicale che letterario.
Dal 1969 al 1994 ha disegnato, con la sua voce e il sapere emozionale e formativo dei testi che ha cantato, una geografia della canzone e della recita cantata, musicata, espressa. Resta non soltanto un punto di riferimento, ma un traghettatore dal leggero profondo al profondo pensiero. Dell’ultima stagione «Hegel» è la problematicità posta in attenzione, o meglio la fenomenologia ancorata all’estetica. Mi sembra un porto sicuro nel quale attraccare la barca o la vela legando le corde ai pilastri della vita che sono il pensare e l’amare o l’amarsi un po’.