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Giustizia e oltre, le riforme cominciano dalla coscienza del cambiamento

 
Giorgio Leccisi

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Giorgio Leccisi

Giustizia e oltre, le riforme cominciano dalla coscienza del cambiamento

Sono diverse ed interessanti le iniziative del Governo sul piano delle riforme

Venerdì 18 Agosto 2023, 14:00

Sono diverse ed interessanti le iniziative del Governo sul piano delle riforme. Tra i progetti in corso si registrano made in Italy, fondo sovrano, microelettronica, spazio, sfruttamento del mare e dei fondali, infrastrutture, appalti, modifiche al PNRR, fisco. Sono in agenda riflessioni su Mes e salario minimo; in progress anche lavori in materia di giustizia e istituzioni. L’autonomia differenziata procede a velocità alterne. In molti non credono alla necessità di attribuire alle Regioni a statuto ordinario ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Le perplessità di natura tecnica riguardano i rischi finanziari e di tenuta dei livelli essenziali delle prestazioni (i c.d. Lep, Livelli essenziali delle prestazione). Quelle di natura politica muovono dalla considerazione che sinora i Lep non abbiano rappresentato una garanzia di omogeneità degli standard di qualità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale. In effetti, sono davvero intollerabili le disparità tra Regioni in presidi essenziali (come quello della tutela della salute) o le assurde diversità tra ambiti locali nella gestione dei servizi di prossimità (come la pulizia delle strade e la raccolta dei rifiuti).

Inoltre, quel progetto non si concilia facilmente con l’idea di una riforma più ampia, di respiro costituzionale, volta a modificare la forma di Governo, rispetto alla quale le ipotesi al vaglio vanno da soluzioni più radicali, come quella del presidenzialismo, ad altre più moderate, come la sfiducia costruttiva, passando per alternative intermedie di semi-presidenzialismo o di elezione diretta del capo del Governo.

L’obiettivo sotteso a questa idea è il consolidamento della stabilità dell’Esecutivo (e, perché non dirlo, quella del rafforzamento dei suoi poteri), al fine di dare al Paese governi di legislatura che rispettino - ed attuino - le indicazioni espresse in sede elettorale, evitando giochi di palazzo e immobilismi sempre più incomprensibili agli occhi dei cittadini.

Il tema Giustizia è, dal canto suo, ancor più complesso, poiché impatta su di un contorto sistema che poggia su precari equilibri fra tutti i poteri e gli ordini dello Stato, con implicazioni sia interne a ciascuna sfera di autorità, sia esterne nei rapporti reciproci con gli altri ambiti di potere e poi (solo in ultimo) con la cittadinanza.

Toccandone uno (se ci si riesce), si incide anche su tutti gli altri: di qui le difficoltà al cambiamento. Ma sconcerta il perdurante immobilismo riferito alle modalità di gestione correntizia del governo della magistratura e delle carriere dei magistrati, nonché al disinvolto (per non dire arbitrario) esercizio della discrezionalità dell’azione penale.

Neanche il recente decreto giustizia varato nell’ultimo CdM lambisce questi temi fondamentali per il destino di una democrazia matura.

Il punto, però, è un altro. Occorre profondere un impegno condiviso su di un versante solo apparentemente meno rilevante, ma in realtà cruciale per il destino nazionale: quello della necessità di un decisivo miglioramento della qualità della rappresentanza e delle decisioni assunte a livello politico-amministrativo e, soprattutto, della capacità delle istituzioni di produrre, con ragionevole rapidità (e con garanzia di ponderazione, condivisione e rispetto per la cittadinanza), significativi riflessi positivi sulla vita socio-economica della Nazione.

Questo risultato non si ottiene per legge o modificando la Costituzione, ma avviando un’operazione di tipo culturale. L’Italia, gli Italiani (e, a maggior ragione, chi li governa) hanno bisogno di un cambio di passo culturale. Il Paese ha necessità di educazione, sensibilità al rispetto dei beni comuni (trasparenza e chiarezza nell’assunzione delle responsabilità pubbliche e private), senso civico condiviso, tolleranza reciproca, attenzione reale alle necessità delle imprese e ai bisogni delle persone, in qualunque condizione queste si trovino.

È in questa direzione che occorre investire. Sul versante istituzionale, queste necessità si declinano anzitutto nella qualità della rappresentanza e nella creazione di una vera cultura politica e del buongoverno; quindi, nella seria selezione e poi nella effettiva responsabilizzazione della classe dirigente nell’assunzione di decisioni partecipate e adeguatamente istruite, rispetto alle quali occorre delineare nuove forme di identificazione e assunzione delle attribuzioni rispettive di natura politica e amministrativa, oltre che di corrispondenti forme di enucleazione di responsabilità che non siano rimesse soltanto alla ratio estrema dell’intervento, non sempre giustificato, della magistratura inquirente.

La politica deve dare l’esempio, non può sottrarsi. In questa prospettiva, l’innovativo metodo di recente assunto dal Presidente del Consiglio sul tavolo delle riforme è parso andare nella giusta direzione, avendo adottato un approccio incentrato sull’ascolto di tutte le forze dell’arco parlamentare e di un ampio numero di interlocutori sia istituzionali sia rappresentativi di interessi intermedi; con una discussione aperta attorno ai possibili scenari, al fine di verificare la disponibilità da parte di tutti a fornire il proprio contributo concreto alla modifica degli assetti esistenti: un approccio serio, idoneo a stimolare, oltre alla propria, anche la responsabilità di chi siede al tavolo.

Potrebbe trattarsi del primo passo di un nuovo modo di fare politica e di vivere la cittadinanza. Ma in questa direzione è necessario un lavoro lungo, serio e condiviso da parte di quanti più: un lavoro che non può esaurirsi in una semplice questione di metodo, ma che deve imprescindibilmente mirare a nuove modalità di formazione e di selezione della rappresentanza e soprattutto a diverse e più mature forme di accountability pubblica.

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