Se il governo Meloni dovesse durare ancora un anno, come tutto lascia immaginare, sarebbe il più longevo della storia d’Italia dal 1861. Supererebbe infatti non solo due più longevi governi Berlusconi, ma anche quelli di Giovanni Giolitti e di Giovanni Lanza. Come si vede, la scarsa stabilità dei governi italiani è vecchia quanto l’Italia. Al di là degli avversari politici che fanno legittimamente il loro mestiere, tutti gli osservatori equilibrati hanno riconosciuto sobrietà, buon senso e attenzione alle fasce medio basse della popolazione. «Una buona manovra di sinistra, per un governo di destra», ha scritto Serena Sileoni sulla «Stampa» di ieri.
Scendendo già quest’anno sotto la soglia della procedura di infrazione, l’Italia rientra nel salotto buono dell’Unione Europea con vantaggi economici tangibili da redistribuire nei prossimi bilanci. Certo 18,7 miliardi scompaiono di fronte ai 40 che il governo dovrà rimborsare l’anno prossimo per la rata del super bonus, una follia di cui il Movimento 5 Stelle è il principale responsabile, ma non il solo.
La prudenza osservata nella legge di bilancio si manifesta anche negli ultimi atteggiamenti di Giorgia Meloni in politica internazionale. Fortissima sostenitrice dell’Ucraina, senza lasciarsi condizionare da una pubblica opinione italiana che in maggioranza manderebbe al diavolo Zelensky (non per simpatia verso Putin, ma perché teme che ci costi troppo e ci avvicini alla guerra), Meloni ha detto a Trump che quella che si combatte in Europa non è una guerra regionale ma - vista l’aggressività di Putin - può mettere in pericolo l’ordine mondiale. Prudente al tempo stesso sull’esproprio degli asset russi («Le cose giuste non sono sempre lecite», ha detto Tajani) è orientata a sostenere gli sforzi di Zelens’kyj, come quasi tutti i paesi europei. E non crediamo che si lascerà influenzare più di tanto dal premier ungherese Orban che vedrà lunedì a Palazzo Chigi.
Questa posizione è rafforzata, al momento, dall’improvvisa freddezza di Trump nei confronti di Putin. Il segretario di Stato Rubio gli ha spiegato che lo zar ancora una volta lo sta prendendo in giro e Trump ha colpito il sopracciglio ferito di Putin: il petrolio. Se davvero la Cina e l’India ridurranno fortemente le importazioni dalla Russia, Putin si troverebbe in enorme difficoltà nell’alimentare la spaventosa macchina da guerra composta di 2 milioni e mezzo di uomini tra combattenti e riservisti che guadagnano il triplo del normale impiegato/operaio russo e che condizione l’intera economia russa.
A Gaza, Trump dimostrato che soltanto la brutalità della forza può ottenere risultati importanti. Avendo lui un debole per lo zar, desiderando nonostante tutto fare affari con lui, vedremo se questa sua ultima posizione sarà definitiva o se domattina ci sveglieremo con atteggiamento diverso.















