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Senza scelte coraggiose la questione dei taxi avrà serie conseguenze

 
Angela Stefania Bergantino

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Angela Stefania Bergantino

Senza scelte coraggiose la questione dei taxi avrà serie conseguenze

Nel volatilizzarsi dei meccanismi di intermediazione politica, i tassisti sono rimasti in molte città una delle poche forze d’urto organizzate in termini elettorali, che prendono sempre maggiore potere man mano che l’economia si terziarizza

Giovedì 03 Agosto 2023, 13:36

La questione dei taxi si sta avvitando su se stessa, e corre il rischio di diventare un problema dalle pesanti conseguenze in uno dei primi Paesi al mondo per movimento turistico. È passato un anno da quando l’articolo che prevedeva una liberalizzazione delle licenza venne stralciato dal Ddl Concorrenza di Mario Draghi, e la segnalazioni di disservizi, taxi introvabili, disguidi e anche comportamenti non chiari provengono ormai da tutta Italia. I giornali riportano che perfino l’assegnazione a Roma dell’Expo 2030 potrebbe essere in pericolo per le deficienze di una componente così importante del trasporto pubblico, ma il problema non riguarda solo la capitale bensì tutta una serie di città medie e medio-grandi che si stanno sempre più trasformando in città turistiche e dei servizi. Bari compresa. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, è notizia recentissima, ha aperto un’indagine.

Proviamo a considerare la questione da due prospettive opposte, quella che chiameremo dei liberisti e quella dei corporativisti. Secondo un primo punto di vista, la strozzatura del mercato è dovuta allo scarso numero di licenze, che lo rendono sostanzialmente chiuso. Per aprirlo bisognerebbe incentivare servizi «non professionistici» come Uber e i noleggi con conducente (N.C.C.). Inoltre, dovrebbe essere maggiormente lasciata alla libera concorrenza la determinazione del prezzo della corsa, la cui fissazione dovrebbe essere più elastica.

L’idea che l’incrocio della domanda ed offerta nel servizio di taxi sia lasciata al libero mercato, posto che questo luogo dello spirito esista, è un caso classico insegnato nelle università. L’idea che il turista o il residente che fermano alle due di notte sotto la pioggia un taxi per tornare a casa, o ne chiamano uno alle cinque di mattina per precipitarsi all’aeroporto abbiano capacità di contrattazione è evidentemente falsa. Per questo le tariffe dei taxi non possono che essere regolamentate, magari con qualche margine di flessibilità maggiore dell’attuale, ma anche con molti maggiori controlli su abusi e vere e proprie truffe perpetrate ai danni di turisti.

Quanto alla liberalizzazione delle licenze, questa è fortemente osteggiata dai tassisti, con motivazioni che non possono essere semplicemente ignorate. Negli anni, infatti, si è creato una sorta di mercato secondario delle licenze, per cui quando un tassista decide di andare in pensione (difficile che cambi lavoro) può «rivendere» la propria licenza garantendosi una sorta di Tfr informale. Sono cifre che in Italia vanno dai 150 a più di 250 mila euro. Per superare questa strozzatura è tornata in auge l’idea di varare un meccanismo un po’ contorto ma che potrebbe garantire una fuoriuscita dell’impasse attuale: ogni tassista avrebbe a disposizione una seconda licenza da rivendere su un portale gestito dall’Autorità dei trasporti, con il multiplo risultato di aumentare le licenze in circolazione, salvaguardare i diritti degli attuali tassisti che hanno comunque operato nel contesto delle leggi esistenti, e istituzionalizzare un mercato finora sotterraneo.

Ogni possibile soluzione è avversata dalla seconda categoria di protagonisti, i corporativisti, che non sono solo i singoli operatori, ma anche le sigle che li rappresentano, e i loro portavoce. Tutti questi soggetti sono avversi per principio a qualsiasi allargamento della platea di fornitori di servizi, perché questo potrebbe diminuire gli introiti, ridurre il fenomeno pernicioso della scelta del cliente più conveniente rispetto all’obbligo di svolgere un servizio pubblico a chiunque lo richieda e nell’ordine di arrivo ecc. (e lasciamo da parte la delicata questione dei redditi denunciati).

La tendenza dei corporativisti è quella di far scendere il problema a livello locale, cioè cittadino, evitando di dargli una risonanza, e delle possibili risposte, sul piano nazionale. A livello di singola città – sono le città a regolare il numero di licenze – è più facile agire in maniera ricattatoria, minacciando scioperi paralizzanti, oppure in modo intimidatorio sotto il profilo del consenso politico. Nel volatilizzarsi dei meccanismi di intermediazione politica, i tassisti sono rimasti in molte città una delle poche forze d’urto organizzate in termini elettorali, che prendono sempre maggiore potere man mano che l’economia si terziarizza. Una volta c’erano i ferrotramvieri o i metalmeccanici verso cui rivolgere le proprie strategie di consenso: oggi questi e altri gruppi sono scarsamente controllati dai sindacati, è venuta cioè a mancare l’intermediazione che portava dalle categorie alla politica. I tassisti, in questa situazione, si sono rafforzati, e fanno pesare la propria posizione su candidati, sindaci, assessori, responsabili locali.

Se non c’è, o non ci sarà, una coraggiosa iniziativa politica a livello centrale, dove però varie forze fanno a gara per farsi paladine del corporativismo dei tassisti, solo nei Comuni dove le giunte hanno il polso fermo e i sindaci non temono lo scontro si potrà fare qualche passo in avanti.

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