Da febbraio, fine febbraio 2022 ad oggi sono passati un anno, quattro mesi e qualche giorno. Nel frattempo la sanità - italiana e per quanto ci riguarda pugliese - è cambiata. Ovviamente in peggio. Medici e infermieri non ce ne sono, resta il numero chiuso alle facoltà universitarie (assieme al giro astronomico di affari per la preparazione agli esami) e le borse per le specialistiche aumentano col contagocce. Ancora, chi può fugge nel privato, meno pensieri e più soldi. Il servizio emergenze urgenze resta senza medici e in molte località, anche quelle turistiche, si taglia il numero delle ambulanze, così per farci riconoscere meglio dai turisti mangiaorecchiette quando si beccano l’insolazione.
Ancora. Dal Sud i migliori senza santi in paradiso continuano a guardare il mare a destra e vanno a lavorare negli ospedali del Nord. Anche perché qui da noi gli ospedali non si costruiscono, e se si costruiscono fa scuola il «Perinei» dell’Alta Murgia: vent’anni di cantiere. Tempi cui pare vogliono «adeguarsi» le nuove strutture di Fasano-Monopoli e Taranto. Naturalmente in attesa dei miracoli che faranno le miliardate del Pnrr. Non abbiamo dubbi.
Vogliamo parlare delle liste di attesa? Meglio di no. Dei pronto soccorso al collasso? Mai sia. Vogliamo sognare con la sanità di prossimità e delle case della salute? Lasciamo stare.
A febbraio 2022, un anno, quattro mesi e qualche giorno fa, la «Gazzetta» pubblicò un articolo sul tema. Oggi lo riproponiamo più o meno tale e quale, perché nulla è cambiato e sulle eventuali novità un dignitoso e umano velo pietoso.
«Cimiteri e ospedali rispecchiano lo stato di civiltà di un popolo, in Puglia soprattutto con i secondi abbiamo più di un problema. Assessori competenti e governatori (nessuno escluso negli ultimi decenni) promettono di occuparsene, ma sembrano davvero alle prese con rebus irrisolvibili. Ci sono due sanità ma su binari profondamente divergenti. Quella dei burocrati, della politica, dei voti, degli incarichi, del tutto si risolve e, in caso di necessità, del «non sa chi sono io». Poi c’è l’altra, reale, con i turni massacranti per medici e infermieri sottopagati, strutture impresentabili, apparecchiature rotte, liste di attese infinite, a meno di non avere deretani su poltrone importanti. La medicina preventiva non solo salva la vita delle persone, ma consente risparmi economici sui costi di ricoveri e interventi, che sarebbero preziosi per non aggravare i traballanti bilanci della sanità pubblica. La pandemia ha contribuito in passato a un ulteriore allungamento delle liste d’attesa. La scarsità di medici e infermieri, peraltro dedicati soprattutto ad affrontare l’emergenza Covid, l’impossibilità di destinare risorse finanziarie impegnate nella lotta contro al virus, sono state principalmente la causa di ritardi insostenibili. Ammesse queste giustificazioni, c’è, però, che quanto perso con il virus non è mai stato recuperato. La sanità percepita da tutti noi poveri cristi non gira, o meglio lo fa ma povero chi capita. Quella dei palazzi di potere è invece sempre eccezionale, fuffa eccezionale. E anche se il ricorso alle strutture private non va certamente demonizzato è però assurdo valersi di loro quando risorse economiche e competenze professionali esisterebbero nel settore pubblico, a meno di non arrendersi per manifesta incapacità e dare vita ad un sistema all’americana (che tanto c’è già). I motivi di questa assurda situazione sono sempre vaghi, nebulosi, e le responsabilità si palleggiano costi quel che costi. Ma al di là della caccia al colpevole, al cittadino restano i danni e l’amara consapevolezza che le due sanità - quella delle carte bollate e quella di chi ha bisogno di assistenza - continuano a correre su strade diverse e sempre più distanti». Alla prossima.