La sanzione non è eccessiva (dai 10 ai 103 euro) e certamente sostenibile da uno straricco come Beppe Grillo. Ma il punto non è se indossare o meno un passamontagna, il punto è se sia ancora sostenibile per una Repubblica come la nostra lasciare a piede libero uno che, legittimato da un pezzo della popolazione italiana e da un partito riconosciuto e con marchio depositato, nel 2023 possa inneggiare all’apologia di un reato.
La proposta con cui il guitto di Genova ha deciso di rilanciarsi nei comizi, infatti, ricorda (o dovrebbe ricordare a tanti italiani che hanno almeno letto del Ventennio sui libri di storia) cosa è davvero il fascismo. E, magari, chiedersi se sia giusto continuare ad interrogarsi sull’eccessiva presenza di fascismo nelle battaglie del governo Meloni sulla famiglia o sui litigi tra il ministro preposto Roccella e il pubblico del Salone del libro; se siano davvero meritorie di attenzione le parole di un ministro di turno (quello dell’Agricoltura, nello specifico) sulla farlocca «sostituzione etnica» a proposito dell’immigrazione; stigmatizzare la costruzione del Ponte sullo stretto di Salvini mentre il clima pazzo ci ricorda a tutti, seguaci o meno dell’ambientalismo, che il pianeta lo stiamo distruggendo. E poi, invece, fare spallucce, chiosare con una risatina o - peggio ancora - con un applauso, un populista diventato leader politico che incita tutti gli italiani a scendere per strada come terroristi islamici per difendere il proprio orticello.
Un reato lo ha certamente commesso il figlio di Grillo, tale Ciro, esibendo il suo organo sessuale sulla faccia di una malcapitata ragazza fatta ubriacare e, per questo, è ancora sotto processo. Ma «reati» costituzionali - contro la libertà di stampa - ne ha commessi a bizzeffe il padre Beppe, quando - forte del 25% ottenuto dal Movimento Cinque Stelle alle politiche del 2013 - stabiliva che nessuno dei suoi doveva parlare con i giornalisti e, anzi, era lecito allestire dei separé (o cordoni) davanti alle stanze dei parlamentari per evitare che la libera stampa si avvicinasse col microfono in luoghi pubblici. Non contento, negli stessi anni il guitto-leader sul suo blog (che gli ha fruttato molti denari) metteva alla gogna pubblica con tanto di liste di proscrizione i nomi e cognomi dei giornalisti ritenuti «nemici del popolo», ovviamente identificando il popolo con se stesso e il diritto di cronaca come un orpello della democrazia.
Dopo i «vaffa», erano gli anni di «onestà onestà» urlati nel Foro italico affollato di gente. Da allora il Movimento ha decisamente perso consensi e il suo leader politico ha ridotto di molto le sue comparsate pubbliche, tornando a esibirsi nei teatri. Ma nei dieci anni trascorsi come dimenticare le nuotate nello Stretto di Messina per dimostrare la conquista dei voti in Sicilia? E le promesse di aprire il Parlamento «come una scatoletta di tonno», dopo aver definito le stesse Camere - cioè la più alta istituzione della democrazia parlamentare - un «vespasiano»? O, ancora, le riprese di un giro in auto nella Roma «bella e pulita» della sindaca pentastellata Raggi, mentre i romani facevano a cazzotti con pantegane giganti e spalavano cumuli di rifiuti per evitare l’assalto di cinghiali in pieno centro? La negazione della realtà, o il rovesciamento nella realtà parallela disegnata dal leader, è il tratto più caratteristico di un dittatore.
Ebbene, a nessuno queste scene da cinegiornale della «settimana Incom», questi discorsi pronunciati non più da un balcone di Piazza Venezia ma dal palco di una manifestazione, questo disprezzo nei confronti della stampa - dileggiata pure quando era costretta a salire sui tetti per raccontare le riunioni «blindate» del Movimento, mentre si fingeva la democrazia con le riprese su Youtube dei confronti teatrali col Pd di Bersani - ricordano la dittatura? E quale sarebbe la differenza tra l’invitare la gente a indossare passamontagna per diventare «brigate di quartiere» e l’appello di Benito che, nel 1922, invitava tutti i fascisti ad uscire per strada muniti di olio di ricino e manganello per perseguitare i «nemici del popolo»? Insomma, quali altri segni dovrebbe darci, in questi anni, uno che ha promesso di regalare la democrazia diretta inventando il «grande fratello» della piattaforma Rousseau, con cui selezionare chi meritava o meno di rappresentarla nel «vespasiano» di cui sopra? E cos’altro dovrà dire, nell’impunità della Giustizia e davanti a un microfono pubblico, uno che ha teorizzato e praticato l’epurazione dal partito di tutti quelli che avevano divergenze di opinione dal suo «pensiero unico»? Uno che ha teorizzato l’allestimento di un parco giochi per superare l’inquinamento dell’ex Ilva sui cadaveri dei tarantini che risiedevano e risiedono nel quartiere Tamburi? Uno che, ancora oggi - a esequie avvenute - inneggia contro le evasioni fiscali di Berlusconi e attacca l’inquinamento dei jet privati dopo essere stato accusato di aver preso incassi in nero dai suoi spettacoli negli anni ‘90 e aver veleggiato nei mari su yacht carichi di diesel?
Duole vedere un grande artista come Moni Ovadia, tra i massimi interpreti della cultura yddish e delle persecuzioni subite dagli ebrei, accompagnare a braccetto sul palco un autentico fascista qual è Grillo. Duole, ancor di più, assistere al sodalizio tra il principale partito del centrosinistra (che si definisce «Democratico» persino nel nome), il Pd di Elly Schlein, e il Movimento di questo novello Duce, che predica libertà e democrazia e razzola dittatura.
Infine, qualcuno si svegli: dietro le sbarre ci finiscono tanti poveri cristi che, evidentemente, commettono reati anche gravi. Pochi, ci risulta, siano quelli che hanno commesso apologia di reato. Fermatelo e se vi sta ancora a cuore la democrazia. E magari gettate la chiave.