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Kosovo, o si fa l’Europa o si muore… (o si fa il gioco della Russia)

 
Marcello Vernola

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Marcello Vernola

Kosovo, o si fa l’Europa o si muore… (o si fa il gioco della Russia)

Antichi odi e mai sopite rivalità, sostenute dagli interessi di Potenze straniere, esplosero in maniera deflagrante provocando guerre civili e genocidi

Martedì 06 Giugno 2023, 14:00

Il ferimento dei 14 militari italiani in Kosovo poteva essere evitata? Ci aspetta un nuovo fronte di guerra? L’Unione Europea non può fare nulla per impedire un nuovo conflitto alle porte di casa nostra?

Le recenti tensioni alle zone di confine del Kosovo con la Serbia e i tafferugli che hanno coinvolto i nostri militari della forza di pronto intervento Kfor della NATO di stanza in quel Paese per garantire la pace ripropongono con prepotenza alla nostra attenzione la criticità degli equilibri politici dei Balcani Occidentali artificialmente creati a tavolino sulla base di accordi internazionali.

Con la nascita della Jugoslavia il Presidente Tito aveva messo assieme popoli e nazioni diverse fra loro per storia, religione, etnie ed economie e e aveva garantito, sia pure con la forza di una autorevole dittatura, pace e sviluppo, istruzione e parità di diritti.

Un difficile equilibrio saltato per aria nel 1991 contemporaneamente alla implosione del Patto di Varsavia e dell’URSS a, al crollo del muro di Berlino e della Cortina di Ferro.

Antichi odi e mai sopite rivalità, sostenute dagli interessi di Potenze straniere, esplosero in maniera deflagrante provocando guerre civili e genocidi.

Ma quei popoli, seppur tanto diversi fra loro, si erano sparpagliati su tutti i territori yugoslavi, anche per volontà governativa al fine di amalgamarli in un'unica grande nazione, rompendo la storica identità etnica delle singole regioni.

Il Kosovo ha però una storia un po’ diversa: una regione sentita dal popolo serbo come la culla della propria storia e della chiesa ortodossa, tanto da racchiudere un grande patrimonio culturale di antiche chiese e conventi, con opere d’arte e raccolte di manoscritti.

Il caso volle che nei decenni si sviluppasse un forte flusso migratorio di albanesi, i quali, mettendo su famiglie, tradizionalmente molto numerose, divennero presto maggioranza etnica nella regione.

E proprio quando nel 1991 la Repubblica federale Jugoslava implose, la Serbia proclamò la propria indipendenza conservando sotto il proprio controllo Kosovo e Montenegro. Gli albanesi del Kosovo, già in agitazione dal 1990, reagirono proclamando la loro indipendenza (riconosciuta prontamente dall’Albania), provocando la reazione della minoranza serba, un tempo egemone nell’area, sostenuta ovviamente dal Governo Serbo, a sua volta spalleggiato dalla Russia, che con quel popolo ha un antico legame di lingua e di religione.

Le tensioni si svilupparono nel tempo, con un forte rigurgito militare nel 1998 che provocò l’esodo di 250.000 civili serbi e il ritiro di 10.000 poliziotti serbi dal Kossovo, spingendo La NATO ad intervenire prontamente insediando un proprio contingente militare in Kosovo per garantire la pace.

Ricordiamo ancora nel porto di Bari i numerosi fuoristrada carichi di albanesi in mimetica che accorrevano dalla Germania per andarsi ad arruolare nell’UCK l’esercito di liberazione del Kosovo finanziato dalle numerose comunità di albanesi kossovari all’estero.

La reazione militare della Serbia non si fece attendere e nel 1999 la Nato dovette intervenire con pesanti bombardamenti su Belgrado.

Prevalse la ragione albanese, con l’impegno a tutelare le minoranze serbe, e nel 2008 assistemmo alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo, mai riconosciuto dalla Serbia.

La diatriba ha fino ad ora impedito l’accelerazione del processo di adesione di entrambi i Paesi all’Unione Europea, e stessa cosa sta accadendo per la Bosnia Herzegovina, Macedonia dove permangono conflitti etnici, ma anche per l’Albania.

Oggi, complice la vicenda ucraina che distrae le attenzioni internazionali da quegli scenari, assistiamo in Kosovo ad una tragica recrudescenza di scontri etnici legati alle elezioni amministrative nei pochi comuni rimasti a maggioranza serba.

Non possiamo sottovalutare il rischio di veloce deriva della situazione: la Serbia, spalleggiata dalla Russia, potrebbe dare una spallata al Kosovo e spingere la Repubblica Srpska (a maggioranza serba) della Bosnia Herzegovina alla secessione, dando vita alla Grande Serbia.

Una suggestione serba che fa il paio con il mito della Grande Albania, che alcuni sognano di creare attraverso una federazione o unione fra Kosovo, Albania e Macedonia (quest’ultimo Paese per ora ancora a maggioranza slava).

È fantapolitica? L’antico legame della Russia con il popolo serbo e la più recente stretta amicizia degli USA con i popoli albanesi ci portano a riflettere sull’evolversi di una delicata partita a scacchi.

La destabilizzazione dei Balcani Occidentali rischia di fare il gioco della Russia.

Ancora una volta rischiamo di lasciare alla NATO la gestione militare di una crisi che è politica, ed è tale solo per inerzia dell’Unione Europea: se si accantonassero i rigidi protocolli dei processi di adesione, e l’Unione accelerasse e formalizzasse l’adesione di Serbia, Kosovo, Montenegro, Macedonia, Bosnia Herzegovina e Albania, quei popoli, conservando la loro indipendenza, scoprirebbero una nuova dimensione di fratellanza europea, aiutata dalla libera circolazione delle merci e delle persone, e dall’accompagnamento europeo verso la crescita e lo sviluppo, nel rispetto dei diritti umani.

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