Un tempo c’erano i mercanti del tempio, ora ci sono le prime comunioni. La chiesa dovrebbe fare qualcosa perché si smetta con tale commercio. Tu passi in questi giorni per il Lungomare di Bari, ed è tutto un set cinematografico. Ragazzine e ragazzini infagottati in inauditi abiti che neanche un matrimonio.
Le fanciulle in bianco svolazzanti di sete, pizzi, merletti, taffetà, chiffon, tulle, chabot. Laccate di parrucchiere e con damigelle formato Barbie a reggere il velo. I fanciulli murati in smoking neri con tanto di papillon e gemelli griffati ai polsi.
E attorno attorno fotografi e operatori di quelli tipo sorridi e guarda le onde, appoggiati a un lampione, cammina lentamente e dicendo qualcosa, mettiti con le mani giunte (freschi di prima comunione sono, o no?). E intanto droni ronzano nel cielo a immortalare panorama e protagonisti manco fossimo a Lolita. Dritto dritto infine sui social in real time.
E i parenti, i parenti. Azzimati in dress code, abbigliamento da serata di gala, grondanti sudori da primi caldi a tradimento, impacchettati in Limousine a noleggio, si sono viste carrozze d’epoca da cartoni Marvel e donne con scarpe da Biancaneve. In partenza per la sala, prenotata con anni di anticipo perché si sa, quando è la stagione delle prime comunioni non se ne trova una neanche all’asta, e un botto di garanzie alla banca per il mutuo.
Prime comunioni. Non partisse tutto dal rituale in chiesa, forse (forse) non sarebbe rituale nemmeno dopo. Quando un fatto spirituale si traduce in gozzoviglia.
Invece Claudia o Luca dovrebbero farsi la loro prima comunione per conto proprio senza l’apparato da rosso sul calendario. Dice: ma ecclesia, cioè chiesa, vuol dire comunità. E poi la preparazione all’esordio nel sacramento è collettiva, come pure la prima ostia. Magari lo si faccia con un grembiuletto bianco come il primo giorno di scuola, ma si raccomandi che la gioia dell’anima non si traduca in orgia della carne. Perché se poi così fan tutti, vuoi che il nostro pezzo di cuore (dicasi per una figlia o un figlio) sia da meno degli altri? Un trauma da psicologia dell’età evolutiva.
In tempi di intelligenza artificiale, ci vorrebbe un po’ di intelligenza naturale. Ma lei sa quanta economia si muove con queste feste? Specie ora che ci si sposa sempre meno? Sarebbe come dire, alla Keynes, scavare buche e riempirle pur di far girare l’euro. Vedi le vetrine dei negozi e una, una è sempre dedicata alla cerimonia con l’avvertenza: sul settore cerimonia, nessuno sconto, tanto devono comprare anche scannati.
Ci sono le bomboniere. E la foto ufficiale del sacramentato. E la torta nuziale, pardon primacomuniale, si vende in gioielleria. Più che in grazia di Dio, qui si è in grazia di scialo. Mentre Francesco se ne va con la croce di ferro e non d’oro, gli occhiali dall’ottico dell’angolo, l’utilitaria al posto del Suv, la stanzetta a Santa Marta invece che a San Pietro dove ci sono quelli che si comprano e si vendono palazzi all’insaputa.
Beati i poveri, perché il loro sarà il regno dei cieli. Non si sa se è estensibile ai festeggianti indebitati. La prima comunione è la prima resa a un altro dio in offerta premium.