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Quel fallimento dell’America che «tradisce» se stessa

 
Marcello Foa

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Marcello Foa

Quel fallimento dell’America che «tradisce» se stessa

Oggi il Paese appare diviso in due, da una parte quello tradizionale tutto Dio patria e famiglia, dall’altra quello arcobaleno che spinge l’agenda Lgbtq

Martedì 30 Maggio 2023, 12:00

Se fosse ancora in vita Alexis de Tocqueville troverebbe molto interessante questo periodo. Tocqueville fu un grande intellettuale francese passato alla storia per aver colto per primo nel 1835 le potenzialità degli Stati Uniti e soprattutto le virtù etiche, economiche e politiche che avrebbero permesso a questo grande ed allora giovanissimo Paese di diventare una potenza mondiale. Oggi Tocqueville non riconoscerebbe più quell’America e non solo perché ovviamente il mondo è mutato, quanto perché il suo spirito sembra essere cambiato.

Siamo abituati a percepire l’America come un Paese molto dinamico, estremamente competitivo e meritocratico a tratti duro nelle dinamiche sociali, fino ad apparire spietato a noi europei, che però ha sempre saputo superare le sue contraddizioni e le sue difficoltà, grazie alla straordinaria unità del suo popolo e al patriottismo, specchio di un radicato senso di appartenenza identitario oltre che valoriale.

Ebbene quell’America vive una crisi interna che va attentamente monitorata ed è indubbiamente sorprendente. Oggi il Paese appare diviso in due, da una parte quello tradizionale tutto Dio patria e famiglia, dall’altra quello arcobaleno che spinge l’agenda Lgbtq. Da una parte gli Stati repubblicani economicamente prosperi, dove si pagano poche tasse e regna l’ordine, dall’altra molti di quelli democratici, a cominciare dalla California, dove l’economia ristagna, le imposte sono elevate mentre diventano visibili la povertà, la criminalità spicciola e l’incuria. Da un lato le multinazionali che sostengono l’agenda gender, dall’altra gruppi spontanei di consumatori che le boicottano fino a far precipitare le vendite di giganti come Disney, Budweiser, Target.

Sintomi di un malessere più profondo che tocca le fondamenta morali del Paese, perché le divisioni politiche non vengono più riassorbite dal collante unificante della Patria. Gli americani non si rispettano più reciprocamente, tendono semmai a odiarsi, a diffidare visceralmente gli uni degli altri. E per la prima volta nella loro storia non si riconoscono nelle figure istituzionali. Molti troppi repubblicani non si sentono rappresentati da Biden, come molti, troppi democratici non si sentivano rappresentati da Trump, mentre la gioventù perde i suoi riferimenti culturali.

Fabio Mini nel suo ultimo saggio L’Europa in guerra (PaperFirst) rivela come l’Esercito americano sia a corto di soldati al punto che è possibile che ogni forza armata non riesca raggiungere gli obiettivi di reclutamento annuali. Oggi l’obesità diffusa (36% per l’età 18-39), il numero crescente di giovani afflitti da problemi di salute mentale (26% nella fascia 18-25) e altri problemi fra cui la fedina penale e la mancanza del titolo di diploma di studio superiore riducono il novero dei reclutabili. Ma il problema principale è che sempre meno ragazzi sentono il valore di entrare nelle Forze Armate. La patria chiama, eccome se chiama, ma loro non rispondono più. Hanno altre priorità, si sentono delusi, traditi, a riprova che quei meccanismi di coesione sociale e valoriale che parevano eterni e che costituivano il perno della grandezza americana ora appaiono arrugginiti, improvvisamente invecchiati e non affascinano più la gioventù a stelle e strisce. E dire che appena vent’anni fa, dopo gli attentati dell’11 settembre, lo slancio era palese e il desiderio di difendere il proprio Paese ardente.

È verosimile che gli insuccessi in Afghanistan e in Iraq, due guerre costosissime e inutili, abbiano avuto un impatto ma l’impressione è che ci sia qualcosa di più profondo e significativo. È come se gli Stati Uniti avessero perso la propria anima e quindi anche la propria saggezza strategica.

Lucio Caracciolo ha rivelato l’altro giorno che l’esercito ucraino ha sparato in pochi mesi l’equivalente di vent’anni di produzione di missili antitank Javelin e dieci di missili terra-aria Stinger, nonché decine di migliaia di colpi di artiglieria, svuotando gli arsenali occidentali. Con una conseguenza, ammessa dal Pentagono: gli Stati Uniti non hanno le capacità industriali per colmare in tempi rapidi gli stock esauriti, rivelando al mondo e soprattutto ai cinesi una grave lacuna sintomatica di uno scollamento più profondo. La foga di voler imporre in tutto il mondo l’obiettivo strategico degli ultimi trent’anni, la globalizzazione, unitamente alla superbia di una classe dirigente che si è illusa di essere invincibile, ha provocato l’inimmaginabile: l’erosione dei valori più autentici degli Stati Uniti, che si ritrovano con un drammatico problema interno di frattura fra popolo ed élite, ed esterno perché le delocalizzazioni scriteriate hanno arricchito e reso grandi i rivali geostrategici di oggi, a cominciare ovviamente dalla Cina.

Questo pone l’America di fronte a una sfida esistenziale: recuperare se stessa, i propri valori, la propria autenticità. Tornare alle origini in una sorta di catarsi, per scongiurare il declino. Il che implica una domanda che è anche un auspicio e che resta ad oggi resta senza risposta: ne sarà capace?

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