Gli studenti fuorisede protestano in molte città del Centro, del Nord e anche del Sud (a cominciare da Bari). Conviene prestare loro molta attenzione, perché ci parlano dell’università di oggi e del domani.
In primo luogo ci dovrebbero ricordare quanto, in Italia, l’istruzione universitaria sia trascurata. Non a caso, per numero di laureati tra i 25 e i 34 anni (28 su 100 persone), siamo al penultimo posto tra i Paesi Ocse, subito sopra il Messico e dopo il Costarica. Per un Paese che ha inventato nel mondo l’Università (l’Alma Mater di Bologna, anno 1088) è un triste primato, di cui non si parla abbastanza.
In secondo luogo, i coraggiosi che hanno manifestano contro il caro-affitti nelle città universitarie piazzando le loro tende fuori dai rettorati sono ragazze e ragazzi che decidono di cominciare a vent’anni a vivere fuori dell’ombrello protettivo della famiglia, magari alternando studio a lavori part-time che consentano di arrotondare il sostegno dei genitori. Sappiamo quanto ci sia bisogno, per le giovani generazioni, di indipendenza, per abbandonare i modelli del familismo tradizionale.
Le manifestazioni degli studenti fuorisede riguardano soprattutto gli atenei del Nord (Bologna, Milano) e del Centro (Roma, Firenze) che hanno registrato negli ultimi dieci-quindici anni un forte aumento delle immatricolazioni. Ciò è dovuto al nuovo sistema di finanziamento degli atenei che ha finito per cumulare gli incentivi a chi ha aumentato il numero di studenti, con l’effetto che, alla fine, piove sempre sul bagnato. Chi ne ha fatto le spese sono stati gli atenei medi e piccoli che non sono entrati in questo vortice positivo, e gli atenei del sud. In un sistema multipolare come quello della ricerca italiana si è trattato di una strada e di una scelta politica miopi.
In questi anni gli atenei meridionali hanno perso circa il 10% di studenti a favore delle università del centro-nord. Ha giocato in questo senso anche l’aumento del divario economico tra le diversi parti del Paese, per cui le famiglie meridionali che se lo possono permettere, magari a costo di grandi sacrifici, fanno studiare i figli a Bologna o Milano, perché per loro sarà più facile trovare un lavoro nelle regioni più ricche del Paese. Ma in termini di potenzialità di sviluppo molte aree del Sud non hanno nulla da invidiare all’Emilia o alla Lombardia. La Puglia, tra le trasformazioni dell’automotive e della meccatronica, i servizi informatici e alle imprese, il turismo e il patrimonio culturale offre considerevoli possibilità di proiezione professionale.
I costi di un letto o una stanza in affitto a Milano, Firenze o Venezia sono cresciuti perché queste città sono sotto pressione per il turismo. Gli appartamenti dati in affitto sulle piattaforme turistiche (Airbnb) hanno letteralmente fatto schizzare alle stelle i prezzi del settore. Poiché l’edilizia universitaria non potrà mai, in queste città, rispondere alla domanda dei fuorisede, l’alternativa non può che essere quella dell’intelligenza del consumatore: spostarsi verso sedi dove l’offerta universitaria è buona e i prezzi, e in generale il costo della vita, molto più convenienti. Non serve andare (tanto) distante per costruirsi una formazione e aprirsi possibilità di carriera.
Quanto alle città, queste dovrebbero chiedersi se sia possibile essere contemporaneamente turistiche e universitarie. Forse sì, però bisogna mettere in campo politiche edilizie, dei trasporti e dell’accoglienza di qualità.