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Quel disincanto dei giovani verso la politica che resta in mano agli «agè»

 
Pino Pisicchio

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Pino Pisicchio

Elezioni politiche

La «cittadinanza attiva», il popolo votante, è data dai «grandi adulti», portatori di memoria preziosa ma anche di visione meno incline al mutamento.

Domenica 30 Aprile 2023, 13:40

C’è un sillogismo consegnatoci dall’Istat e dall’analisi dei dati elettorali: se il 30,5% degli italiani ha superato i sessant’anni, entrando nell’età con cui è più facile sognare le vacanze fuori stagione che la fatica quotidiana, e i giovani (18-34 anni) che si recano alle urne sono meno del 40% del popolo giovane, se l’astensionismo raggiunge picchi mai toccati in Italia, ne può agevolmente conseguire che a reggere botta sui seggi elettorali restano soprattutto gli agé. Dunque nel bene e nel male la rappresentanza politica nelle assemblee, da quelle legislative a quelle municipali, passando per Regioni ed Europa, poggia prioritariamente sul voto della popolazione, diciamo così, «sicuramente matura».

Che significa questo? Intanto che le fasce di popolazione più giovanili sono passate a coltivare nei confronti della politica non più un sentimento di antagonismo, o di rabbia o indignazione, ma un vero e proprio senso di indifferenza. Il che è sicuramente molto peggio, perché significa che l’encefalogramma della passione civile è piatto, irreparabilmente inerte.

La seconda questione è che la «cittadinanza attiva», il popolo votante, è data dai «grandi adulti», portatori di memoria preziosa ma anche di visione meno incline al mutamento.

Le cronache politiche degli anni ‘80 ricordano ai sessantenni e passa di oggi l’epopea di Luigi Longo, segretario del Partito Socialdemocratico che portò la sua formazione politica ad una campagna elettorale monotematica, tutta incentrata sul popolo degli anziani e i diritti dei pensionati che, quarant’anni fa, non erano ancora la maggioranza relativa del Paese.

Ai cultori della materia va ricordato uno spot elettorale del 1983 alquanto bizzarro per il target a cui si rivolgeva: un cartone animato con protagonista un gatto di nome «Gigi», che faceva il muratore e parlava in romanesco dei diritti degli anziani trascurati dal governo. Il PSDI raccolse un milione e mezzo di voti, oltre il 4%. Non male per un partito monotematico. Chissà se certi richiami nostalgici che intasano l’aria al centro, a destra e a sinistra oggi non stiano strizzando l’occhio a quella cospicua riserva elettorale dell’elettore agé, come faceva Longo col gatto Gigi..

Il problema, però, del «disincanto» dei giovani rispetto alla politica resta, e rappresenta la vera spada di Damocle che pende sinistramente sul futuro del Paese. Una volta i partiti formavano le loro classi dirigenti: c’erano scuole che non avevano nulla da invidiare ai centri di cultura universitaria, e il prodotto finale non veniva gettato nel livello nazionale nudo e crudo, ma lo si avviava ad un cursus honorum che partiva dal livello locale e man mano saliva accettando il confronto elettorale.

Oggi, finiti i partiti di massa e rubato il diritto di scelta con leggi elettorali perniciose, chi prepara i giovani alla politica? Forse potremmo imparare da esperienze di altri paesi, per esempio la Germania, che ha risolto il problema egregiamente. Le scuole le fanno le Fondazioni dei partiti, sostenute con risorse pubbliche e dallo Stato rigorosamente controllate quanto a correttezza dei bilanci. Potrebbe essere una buona ipotesi di lavoro. Certo più lunga e più legata a «visione». Per «l’immediato» resta sempre il metodo «Pietro Longo» e del suo gatto muratore che parla agli anziani in romanesco.

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