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«La musica è un linguaggio universale ma le note hanno suoni indipendentisti»

 
Pino Aprile

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Pino Aprile

«La musica è un linguaggio universale ma le note hanno suoni indipendentisti»

Il meridionalista Aprile diffida delle posizioni culturali del governatore Zaia

Giovedì 30 Marzo 2023, 11:00

San Marco o sarde in saor? Non so quale riferimento identitario potremmo trovare nell’inno del Veneto, richiesto dai consiglieri leghisti nella commissione cultura della Regione guidata da Luca Zaia, ma so in cosa si traduce: sghei, sghei, sghei (soldi, soldi, soldi).

E perché questo approccio fra il poco serio e il denigratorio dell'eventuale inno veneto, se un canto «regionale» ce l'hanno già la Sicilia, la Sardegna, le Marche e la Lombardia si è rivolta a Mogol e Lavezzi? Nel bene e nel male, le azioni degli uomini sono pesate sulla bilancia delle loro precedenti e che formano la storia o, in certi casi, le storielle; e il percorso comune prende il nome e il volto di chi è alla testa della comunità. Quindi, nel caso del Veneto, di Luca Zaia, il presidente. Il che, a essere franchi, un po' preoccupa e un po' fa cascare le braccia.

Perché? Cosa c'è di male nel volersi riconoscere in un canto? Nessun popolo marcia in silenzio e, addirittura, si dice anche che, per creare un popolo, servono una bandiera e una tromba (e quando la bandiera garrisce, il cervello finisce nella tromba). Dovrei essere l'ultimo a poter criticare un tale desiderio, visto che anni fa, con Al Bano, componemmo «Le radici del cielo«, nato come inno della Puglia (il ritornello sono i versi che re Enzo, figlio di Federico II, scrisse per nostalgia della nostra e sua regione). Alla propria musica, si resta attaccati più che alla propria terra e, a volte, è quello che resta, quando la terra è persa: i sanniti, pur sconfitti dai romani e inquadrati nelle loro legioni, non combattevano al suono degli ottoni di Roma, ma delle loro zampogne.

Quindi, a cosa cerco di far il processo, se l'azione è la stessa di altri? All'intenzione. Già. Vi pare sbagliato? Ditemelo alla fine, però, se non ho ragioni.

La musica è un linguaggio universale, non ha bisogno di traduzione. La parola, le lingue sì, vanno tradotte, e gli idiomi possono dividere al punto da diventare ragione di guerra (Germania è ovunque ci sia un tedesco, era il motto nazista). La musica no, unisce: i nostri emigranti sbarcarono con il loro dolore negli Stati Uniti e, improvvisando con i neri, a Congo Square, New Orleans, dettero vita al jazz (allora «jass»: primo disco della storia, The Original Dixieland Jass Band, del siciliano Nick La Rocca); e dalla ricerca di una nota ponte fra le sette europee e le cinque africane, nacque la «blue note», donde il blues.

Allora dovremmo essere contenti che una nuova canzone..., no? No, perché l'iniziativa viene dai consiglieri leghisti e a capo della Regione c'è Zaia. È razzismo il mio? La Lega ha un segretario nazionale che ha patteggiato una condanna per razzismo; il suo vice è condannato per razzismo; il ministro leghista per le Regioni e l'Autonomia differenziata è sotto processo per razzismo (dopo condanne in primo e secondo grado, la Cassazione ha fatto ricominciare il percorso, per un vizio di forma). Umberto Bossi e Roberto Maroni, fondatori del partito, dichiararono che il razzismo contro i meridionali faceva guadagnare voti. Quanto a Zaia, da ministro «italiano» all'Agricoltura, avviò le trattative del patto commerciale con il Canada, in base al quale, l'olio d'oliva che gli vendiamo deve essere veneto. Ovvero la produzione dello 0,4 per cento. Sono nato nella regione che ogni 3 ulivi in Italia ne ha uno: 60 milioni su 180: se ho i gabbasisi in subbuglio vorticante avrò ragione o no?

Lo stesso Zaia che a proposito degli stanziamenti per la tutela di un patrimonio nazionale unico al mondo, protestò: «Chi vuole spendere 250 milioni per quei quattro sassi di Pompei?». E parlò di «vergogna», ma non diceva a se stesso. Non faccio l'elenco delle «zaiate», ma un'altra la devo dire: per avviare il percorso per l'Autonomia differenziata, nel 2017, Veneto e Lombardia indissero un inutile e costoso referendum (bastava una lettera al governo, come fece l'Emilia Romagna), a esito più che scontato (era come chiedere: volete più soldi?); «vinto» il quale, Zaia urlò, nella festa a base di prosecco: «E adesso indipendenza!».

Può non piacere, ma è legittimo aspirarvi. Così, questi fenomeni disgregatori sono planetari: dal Texas alla California, alla Baviera, e non solo in Catalogna, si sono raccolte firme per referendum per la secessione; la Scozia ci è andata vicino. Altro che il «tanko» (trattore corazzato) con cui i primi venetisti «conquistarono» piazza San Marco.

Quando Zaia e la Lega fanno galoppare l'autonomia , dopo aver chiesto di tenersi i 9/10 delle tasse statali, dopo aver piazzato il capo della loro delegazione alla guida della struttura nazionale che deve far da arbitro, se partono con l'idea di darsi un inno, il sospetto che si stia facendo altro e non di buono è eccessivo o giustificato? A pensare che vogliano andarsene, ma scappando con la cassa, si fa peccato, ma forse si indovina.

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