Giorgia Meloni, intervenendo nell’aula del Senato in replica al leader dei Verdi che polemicamente aveva mostrato dei sassi raccolti nel letto di un Adige prosciugato dalla siccità, ha così controbattuto: «Presumo che lei non voglia dire che in 5 mesi sono stata io a prosciugare l’Adige... io non sono Mosè, caro Bonelli, la ringrazio che mi riconosca questi poteri ma non ce li ho». Risposta efficace, non c’è che dire. Ripensando però a Max Weber e alla sua analisi sul leader carismatico consiglierei alla Premier di non scartare, in modo tanto netto e tranchant, l’ipotesi di somigliare al profeta legislatore.
Il grande sociologo tedesco, infatti, accostò la sostanza del politico carismatico alla figura del profeta così come ci viene trasmessa dal giudaismo antico, perché riteneva che entrambi, per assolvere alle rispettive «professioni», dovessero dimostrare una tensione etica così forte da convincere i loro popoli a seguirli, per mettersi in salvo e raggiungere una terra promessa. Il leader carismatico, in particolare, a tal fine si sarebbe dovuto segnalare per passione, senso di responsabilità e capacità di affascinare con la parola, spesa al servizio esclusivo della causa. Gli sarebbe stato assolutamente interdetto invece, pena il fallimento della sua missione, il perseguimento del proprio interesse personale: vuoi sotto forma di acquisizione di potere per il potere, vuoi sotto forma di mera vanità.
Vista la particolare situazione politica che sta affrontando, io penso che l’analisi di Max Weber dovrebbe interessare Giorgia Meloni. Da essa potrebbe trarre utili indicazioni, sia su come rapportarsi con amici e alleati - quello che si potrebbe definire il suo «fronte interno» - sia per come affrontare gli avversari e i nemici del «fronte esterno».
Lei, in questi cinque mesi trascorsi alla guida del governo, ha certamente dimostrato di possedere quel che Weber ha definito «carisma» e che, più prosaicamente, si potrebbe tradurre come la capacità di trasmettere l’idea di credere in ciò che si sta facendo e di voler perseguire obiettivi che trascendono la pur legittima ambizione personale. In più occasioni - in modo diretto o indiretto - glielo hanno riconosciuto persino alcuni suoi avversari.
Questa percezione, però, sembra sempre più rafforzarsi «per differenza». Diviene cioè più avvertita perché molti tra quanti giocano (o dovrebbero giocare) dalla stessa parte non sembrano essere alla sua altezza. Diciamo la verità, quella che abbiamo visto all’opera accanto a lei in questo esordio di legislatura non è proprio la reincarnazione della «destra storica»: una classe dirigente all’altezza della sfida, in grado di spalleggiare «il capo» e alleviargli il compito. Tra interventi fuori tempo, citazioni improprie, parole sbagliate, improvvide minacce e scopiazzature di discorsi, in soli cinque mesi sono state inanellate gaffe e brutte figure manco fossero perle di una collana meravigliosa. I migliori, non a caso, sono stati quelli che si sono esposti meno e hanno lavorato di più.
La categoria del carisma, poi, potrebbe anche tornarle utile per distinguere, tra i suoi oppositori, quelli dai quali c’è poco da temere, in quanto troppo personalmente interessati o eccessivamente vanesi, da quanti invece si propongono con forti convinzioni nelle vesti di contro-profeti (Weber li avrebbe definiti «profeti di sventura»). A questi andrebbe prestata assai più attenzione. La predizione di mali imminenti e inevitabili per ora non sembra attecchire, anche perché non si accompagna alla prospettazione di approdi alternativi e salvifici, ma non è affatto detto che in un futuro più o meno prossimo essa non possa divenire più credibile.
Giorgia Meloni, insomma, nel panorama italiano si trova ad essere sola con il suo carisma. Per questo, se vorrà vincere la sfida che si è proposta, non può temere di usare l’arma in suo possesso: nei confronti dei competitori certamente, ma soprattutto nei confronti degli alleati e amici che non gli agevolano il compito, per evitare che quel senso di inadeguatezza non finisca per contaminarla legittimando infine i profeti di sventura. Dovrà per questo assomigliare un po’ più a Mosè, prendendosi tutta la responsabilità di indicare la via, senza accontentarsi di contestare che questa non passa dalla secca dell’Adige.