C’è un’Italia che «si è svuotata e si svuota», con recentissimi ma isolati segnali in controtendenza. Provate a percorrere, per esempio, le Alpi Marittime, le Alpi Cozie o le Alpi Graie. Vi incontrerete un numero inaspettato di comuni che un secolo fa erano popolati da centinaia, in alcuni casi migliaia di abitanti e ora hanno solo qualche decina di anime che vi risiedono permanentemente. Comuni «svuotati», dove la popolazione e’ migrata altrove, dapprima oltreoceano e poi in Francia, in Svizzera, in Germania. Assicurare servizi essenziali a chi ci resta «costa troppo», per cui si chiudono scuole elementari, presidi medici, negozi alimentari eccetera eccetera. «Siamo rimasti in trenta», confessa il sindaco di un villaggio di una valle piemontese, «ma solo cinquanta anni fa eravamo piu’ di cinquecento e cento anni fa tremila». «Qui è dura», prosegue, «anche se è bello vedere che ora non ci sono solo valligiani che vanno a vivere in pianura, ma anche giovani coppie che hanno scelto di venire a vivere qui e valligiani pendolari che mantengono casa qui ma lavorano nelle fabbriche e nelle fattorie della pianura».
Spostiamoci più a Sud, tra Appennino Ligure e Lunigiana per esempio. Stesse storie di luoghi un tempo popolati e coltivati e ora a rischio idrogeologico per via dell’abbandono dei terreni. Comunita’ locali invecchiate, con Sindaci che si battono perché le scuole elementari non siano chiuse per mancanza di alunni, e dirigenti scolastici che si inventano classi uniche per bambini dai sei agli undici anni pur di mantenerle in vita. Anche qui si incontrano giovani coppie che si sono riappropriate della cura di terreni dei nonni per rimetterli a valore, ma si tratta di casi tanto virtuosi quanto isolati.
Un viaggio fra l’Italia «abbandonata» non può che comprendere anche il Sud. Ed eccoci in un paesino dei Monti Dauni, Appennino Centromeridionale, Puglia ai confini con la Campania. Un po’ diverso dagli altri del circondario perché, nonostante l’influenza dell’italiano e dei dialetti dei paesi vicini, mantiene in qualche modo la lingua dei suoi padri, arpitani (franco-provenzali). Al censimento del 1961 risultava che vi risiedessero più di duemila persone, a quello del 2011 meno di settecento. Certo, settecento sono meglio di settanta, ma il declino demografico, dovuto da un lato a cause naturali dall’altro a cause migratorie, si traduce in declino economico e abbandono della terra. Un circolo vizioso che si potrebbe arrestare però.
A fronte di un’Italia che «si riempie» e continua a consumare suolo (soprattutto quella della pianura padano-veneta che si sta trasformando in una conurbazione unica a base di cemento, asfalto, rotatorie stradali, capannoni, centri commerciali, cinema multiplex) c’è un’Italia che si svuota, dalle Alpi all’Appennino. Terreni in abbandono che diventano bombe di un disastro idrogeologico, abitati che diventano silenziosi (niente più voci di bambini) e spettrali (case in rovina).
A invertire la rotta ci sono giovani coppie spesso con radici familiari nei villaggi in declino, intellettuali immigrati perché stanchi della vita in città o perché in città hanno perso il lavoro che si reinventano contadini e allevatori. Ma non bastano per assicurare a questa Italia «svuotata» un futuro sostenibile. Né la rinascita dell’Italia «svuotata» puo’ essere interamente affidata a un movimento di «ritorno alla terra» o a un turismo il cui bilancio costi/benefici non e’ affatto assodato che alla fine presenti un segno positivo.
Quello che è certo è che nel mondo ci sono centinaia di milioni di persone senza terra, senza accesso all’acqua potabile e con limitatissima disponibilità di cibo, cui è negata una vita dignitosa per sé e per i propri figli, mentre qui da noi in Italia (e non solo) ci sono contrade in abbandono, terreni di cui nessuno si cura, botteghe artigiane che chiudono perché i proprietari non trovano successori con volontà e capacità necessarie.
Nel frattempo, alle nostre porte bussano persone in cerca di una vita decente, per sé e per le proprie famiglie. Non è affatto scontato che tutti questi esseri umani che «bussano alla porta» siano interessati a insediarsi in luoghi abbandonati da italiani, ma questa è un’opportunità che possiamo offrire loro, nel loro e nel nostro interesse. Il tema delle migrazioni non va affrontato con provvedimenti di polizia (o non solo in questo modo), ma con politiche intelligenti che valorizzino l’apporto positivo che le immigrazioni possono dare all’equilibrio del nostro Paese. Scorrendo esempi oramai collaudati da secoli possiamo credere che strategie di questo tipo sono tutt’altro che velleitarie.