Negli ultimi anni abbiamo visto spesso immagini di grandi e spettacolari incendi in California. Questa volta, al posto dei grandi parchi naturali, il fuoco ha divorato la sedicesima banca americana per dimensione dei depositi, la Silicon Valley Bank (SBV). La più grande banca della California, un’economia da 3.4 trilioni di dollari che se fosse uno stato sovrano sarebbe il quinto al mondo per PIL collocandosi tra la Germania e l’India.
Oggi l’incendio bancario è stato domato dall’intervento del Governo e della Federal ma sotto la cenere i carboni sono incandescenti e pronti a far riprendere altri incendi in grado di generare instabilità e crisi non solo negli USA.
Ma cosa è successo? La spiegazione è tristemente semplice. Le Banche sono intermediari finanziari che raccolgono fondi di altri (principalmente risparmi dei correntisti, ovvero famiglie e imprese) e li impiegano attraverso prestiti (a famiglie, imprese o altri operatori) e acquisti di attività finanziarie (es. obbligazioni, azioni). La redditività di una banca a grandi linee dipende dai margini di questa attività di intermediazione, dalla differenza tra quanto paga sulle proprie passività (i tassi di interesse che paga a correntisti ed altri prestatori che depositano presso la banca) e quanto ottiene sui vari impieghi (es. interessi che ottiene su titoli di stato o altre obbligazioni che ha acquistato con i soldi dei correntisti o gli interessi che matura sui prestiti concessi).
La SBV ha adottato un modello di gestione bancaria piuttosto comune in questi anni in cui i tassi di interesse sono stati molto bassi. Ha impiegato una crescente parte dei depositi a breve termine dei correntisti per acquistare titoli finanziari a lunga scadenza (in prevalenza obbligazioni a tasso fisso emesse da Stati o imprese private). Quando tutto va bene i profitti sono elevati per le banche: i tassi di interesse che ottiene su questi impieghi a lungo termine sono più alti di quanto paga sui depositi dei correntisti a breve termine. Attenzione ad un dettaglio cruciale in questa storia. Breve termine significa che i correntisti possono richiedere alla banca il proprio denaro in qualsiasi momento. Un titolo finanziario a lungo termine a tasso fisso, al contrario, produce rendimenti annuali (pari al tasso di interesse) e rimborsa al possessore la quota capitale alla scadenza (es. tra 5, 10 o 20 anni). Questo tipo di intermediazione diventa rischiosa quando i tassi di interesse di mercato crescono perché questi titoli a rendimento fisso diventano relativamente meno convenienti per i risparmiatori.
Può succedere – come in questo momento storico – che molti titoli, emessi evidentemente in passato, offrano tassi di rendimento più bassi di quelli di «mercato» o di nuova emissione. Quando crescono i tassi di interesse di mercato questi titoli valgono di meno, il loro prezzo scende e il loro valore attuale spesso è più basso del valore di acquisto da parte degli intermediari (si parla in gergo di «titoli sott’acqua»). Se si diffonde il panico e tutti corrono a chiedere alla banca i loro quattrini (corsa agli sportelli), la banca è costretta per far fronte alle richieste dei correntisti in preda al panico a vendere questi titoli ad un prezzo inferiore – spesso molto inferiore – a quello di acquisto e pertanto realizza importanti perdite fino a …fallire.
Ora c’è un semplice rimedio a questo rischio associato al (prevedibile) aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali: assicurarsi con contratti finanziari che «blindano» l’eventuale prezzo di vendita di questi titoli in caso di necessità. Rimedio banale che viene insegnato durante la prima settimana di un corso di economia finanziaria.
Sembra incredibile ma la sedicesima banca della più grande potenza economica al mondo ha giocato con il fuoco non assicurandosi dal rischio di aumento dei tassi. Perlopiù oltre il 90% di depositi erano di conti con oltre 250mila dollari e pertanto non assicurati dalle garanzie statali e quindi ipersensibili a crisi di panico.
Come è possibile che ciò accada? Cosa non ha funzionato? La prima riflessione è legata al comportamento della Banca in questione: un mix pericoloso di avidità e incompetenza condito con buona probabilità da un comportamento opportunistico (rischio perché alla fine qualcuno interviene per salvami; gli economisti lo chiamano azzardo morale).
La prima lezione è quella di rivedere le regole che guidano gli incentivi spesso perversi di chi governa le istituzioni che gestiscono il risparmio di milioni di cittadini e forniscono linfa vitale alle economie moderne. Le potenti lobby finanziarie e bancarie USA hanno smantellato una serie di regolamenti che limitavano questi rischi e imponevano controlli più rigorosi. Un errore che periodicamente si ripete e inevitabilmente genera instabilità e crisi.
Piuttosto emblematica anche la scarsa percezione del reale rischio finanziario da parte di investitori e correntisti, in gran parte cittadini a reddito elevatissimo e ad alta istruzione della Silicon Valley.
La seconda lezione è per tutti noi cittadini-risparmiatori. Non esistono «alberi della cuccagna» e promesse di guadagni sconfinati (vedi la fede di molti risparmiatori nelle criptovalute). Rendimenti più alti sono sempre associati a rischi più elevati, spesso troppo elevati. La «cura» necessaria è quella di promuovere una maggiore educazione finanziaria a partire dalle scuole dell’obbligo.
La terza lezione è quella della necessità di potenziare le armi a disposizione delle autorità di controllo. Il rischio legato alla SVB era noto e alla luce del sole. È semplicemente assurdo che non ci sia stato alcun intervento prima di questa inevitabile corsa agli sportelli.
Infine, due riflessioni. Il Governo USA è intervenuto salvando i correntisti (di fatto estendendo le garanzie sui depositi superiori ai 250mila dollari) ma facendo giustamente fallire gli azionisti della banca. Al di là della retorica di queste ore, questi interventi tardivi impongono sempre costi per la collettività e creano piccole e grandi ingiustizie sociali. I top manager di SVB hanno incassato in questi anni bonus milionari, cadranno ma in piedi. È anche discutibile che l’intervento dello Stato copra dalle perdite società di venture capital e imprese che fatturano miliardi di dollari e che avevano tutti gli strumenti per coprirsi dai rischi crisi di questo tipo. Questo stesso livello di attenzione e supporto politico è mancato in questi anni per una riforma che riduca l’onere finanziario che oggi strozza negli USA milioni di studenti sovra-indebitati.
L’ultima riflessione è sui rischi per noi. La SVB è un caso estremo… un mix esplosivo di incompetenza e arroganza. Ma i meccanismi che hanno portato al suo crollo – bilanci bancari poco sostenibili e tassi di interesse in crescita - sono anche qui da noi. Occorre vigilare e fare di tutto per evitare che le banche da pazienti e lungimiranti istituzioni che favoriscono lo sviluppo dell’economia si trasformino in miopi estrattori di rendite e di veloci profitti. La stabilità finanziaria non è questione di ricchi banchieri ma un bene comune che serve per tutelare soprattutto le fasce più vulnerabili della popolazione, coloro che sono sprovvisti di paracadute quando arrivano profonde crisi economiche.