Autonomia differenziata: il sì della Conferenza Stato-Regioni ha risposto cinicamente al «no» forte e chiaro della Puglia, nella manifestazione di Bari promossa dalla CGIL regionale. In tanti a pronunciarlo: il presidente Michele Emiliano, i sindaci con la fascia tricolore, parlamentari e consiglieri regionali, politici e partiti, associazioni, la gente e, cosa più incoraggiante, moltissimi giovani. Ho portato il contributo del gruppo politico «Per il Socialismo» e tutti abbiamo verificato la volontà concreta della Sinistra progressista di mettersi alle spalle la sconfitta del 25 settembre e riprendere un percorso condiviso sui problemi importanti. Le grandi alleanze si fanno sui grandi temi e davanti all'Unità del Paese nessuno può tirarsi indietro.
Il Mezzogiorno deve battersi contro una riforma che rischia di strangolarlo, aggravando gli squilibri storici del Paese, mai risolti dall’unificazione del 1861. L’autonomia rafforzata non serve affatto alle Regioni, per com’è concepita ora strumentalizza e tradisce lo spirito del regionalismo del Centrosinistra nei primi anni Duemila. All’insegna del «prima il Nord», Lombardia e Veneto hanno lanciato un progetto che maschera il vecchio federalismo, una secessione travisata, che bada a incartare il massimo dei finanziamenti. Da Socialista, ho fatto mia questa lotta per il Sud, contro l’individualismo delle Regioni più ricche. La riforma Calderoli del Governo di Centrodestra provocherebbe una frattura irreversibile nel Paese ed è da temere lo scambio politico nel Centrodestra, tra due riforme: presidenzialismo e autonomia rafforzata (nel percorso, ruolo del Parlamento è ruolo marginale, il voto non è vincolante). La piazza barese sia perciò solo la prima mobilitazione popolare contro un regionalismo differenziato che ucciderebbe il Sud, costretto a partire da condizioni di ritardo già enormi.
Si fa un gran parlare, in cambio, di Livelli essenziali delle prestazioni (LEP). È evidente che occorrerebbe preliminarmente garantire parità di prestazioni sociali a tutti i cittadini, in ogni parte del territorio nazionale. Lo Stato, però, dev’essere capace di determinare non livelli meramente «essenziali» delle prestazioni, ma effettivamente «uniformi» (Lup). Inoltre, l’autonomia del Nord «ricco» rispetto al Sud «povero» accentuerebbe il divario tra chi potrebbe accedere all’istruzione universitaria e chi no. E provocherebbe disastri anche nella scuola: l’insegnamento regionalizzato cancellerebbe l’uniformità nazionale della formazione.
Contro questo scellerato progetto divisivo, la società democratica deve compattarsi, in difesa dei diritti, delle conquiste, dei servizi, del lavoro, della sanità pubblica, dell’ambiente, delle Università, della scuola, delle infrastrutture di valenza nazionale e strategica, dell’unità stessa della Repubblica.
C’è una proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare, si stanno raccogliendo 50mila firme per riformare gli artt. 116 comma 3 e 117 della Costituzione, con modifiche che favoriscano un’autonomia utile ai territori e premiale per le Amministrazioni più efficienti, senza tuttavia pregiudicare l’unità nazionale. Si tratta di correggere gli errori del 2001 nella riscrittura del Titolo V e riconoscere centralità al Parlamento nell’attribuzione di ulteriori condizioni particolari di autodeterminazione alle Regioni.
Per il Mezzogiorno, quella contro il regionalismo egoista del Centro-Nord è una battaglia per la vita. Altre non sono da meno, a giudicare dall’astensionismo nelle Regionali in Lombardia e Lazio. La politica e soprattutto la Sinistra devono interrogarsi sui motivi dell’altissima diserzione delle urne. Sembra che gli elettori si sentano più rappresentati dai Comuni: indubbiamente il regionalismo ha bisogno di fare un tagliando, ma di certo il futuro delle Regioni non è l’autonomia differenziata.
Possiamo guardare con fiducia al congresso del Partito Democratico, che potrebbe aprire la stagione del rilancio del Centrosinistra, soprattutto sui temi delle diseguaglianze. E non credo che ci sia una diseguaglianza più ingiusta e poetante di quella tra Nord e Sud. Ci conforta il netto no al disegno di legge Calderoli, «inaccettabile e inemendabile», contenuto nel programma della nuova segretaria nazionale. Elly Schlein ha in mente un progetto di Paese nel quale il Mezzogiorno non sia più Cenerentola: politiche mirate al riscatto del Sud, interventi per le aree disagiate. Un vero «non passeranno» opposto al regionalismo dei ricchi perseguito caparbiamente dai padano-veneti.
Nella Conferenza, a parte Puglia, Campania, Emilia Romagna, Toscana ed Anci, tutte le Regioni di Centrodestra hanno approvato il ddl, contro le ragioni del Sud. Anche le meridionali hanno dato un colpo di grazia al Mezzogiorno, perché una volta partita l’autonomia differenziata ci si accorgerà che dopo l'approvazione dei Lep e dei Lup resterà tutto così com’è. Il bilancio dello Stato non può finanziare livelli omogenei in tutto il Paese: così, mentre il Nord avrebbe semaforo verde per fare quello che crede, il Sud resterebbe in ginocchio.
È auspicabile che tutte le Istituzioni meridionali - con il sostegno, l’adesione, la collaborazione di quelle del Centro Nord, che con forte maturità e sensibilità unitarie non condividono il progetto «sfascia Italia» di Calderoli - le forze sociali, l'associazionismo, s’impegnino in un’azione di corretta informazione delle conseguenze che si abbatteranno sui cittadini, le famiglie e le imprese del Meridione d’Italia. E sulla necessità di impegnare il Governo nazionale a dare il via alla riforma Calderoli solo quando saranno reperite le risorse economiche, stimate tra gli 80 e i 100 miliardi di euro, per mettere mano al riequilibrio dei servizi essenziali di prestazioni tra gli Italiani di Pordenone e della Val d’Aosta, di Lampedusa e di Castro.