C’è del genio nella proposta che ieri banche e costruttori, tornati insieme con il comune intento di fare (altri) soldi, hanno avanzato per risolvere l’impasse sui crediti fiscali del Superbonus. Si può riassumere così. Da domani chiunque andrà in banca per pagare un «F24», convinto di adempiere al dovere civico di versare le tasse, starà in realtà pagando la ristrutturazione edilizia del vicino.
La vicenda potrebbe essere illustrata con la colorita espressione di un grande maitre-a-penser degli anni 2000, Stefano Ricucci. Tecnicamente non fa una piega. Le banche fanno presente allo Stato di aver ormai saturato il proprio debito fiscale con i crediti acquistati (naturalmente a sconto) dai costruttori. E dunque, spiegano, se lo Stato vuole che riprendano ad acquistare, è necessario scaricarne un po’. Come fare? Trattenendo per sé, a scomputo dai crediti fiscali, una quota parte delle tasse che cittadini e imprese verseranno per loro tramite attraverso gli F24.
Vincono tutti. Vince la banca, che ottiene liquidità immediata. Vince l’impresa, che potrà cedere un altro po’ dei suoi crediti fiscali. Perde lo Stato, che rinuncia a una quota più o meno rilevante di cassa, e dunque per pagare stipendi e servizi dovrà emettere altro debito e pagare altri interessi alla banca. Perde, ma è sempre un dettaglio, il cittadino che pur non avendo partecipato a questa truffa (nota per chi passerà il pezzo: se il termine è troppo forte, prego sostituirlo con porcata), sarà costretto a pagare (nel migliore dei casi) i lavori a casa di qualcun altro, se non a contribuire (nel peggiore dei casi) qualche altra oscura operazione di riciclaggio.
Illustri commentatori e perfetti sconosciuti senza anello al naso hanno spiegato in questi mesi quanto sia assurda una misura che rimborsa un investimento non per intero, ma addirittura con un plus del 10% che nelle intenzioni doveva coprire i costi finanziari dell’operazione. E che ha avuto, come conseguenza, l’aumento vertiginoso dei prezzi dell’edilizia (che mi frega se una finestra da 1.000 euro ne ne costa 3.000, se tanto paga Pantalone). Una misura negoziale è tanto più efficace quanto mette le parti in conflitto di interessi tra loro: il Superbonus ha invece messo tutti d’accordo nel comune intento di ricavare il più possibile dallo Stato.
I 120 miliardi di crediti fiscali altro non sono che minori entrate per il bilancio dello Stato, in cui si apre un buco pari alla differenza tra i 70 previsti e quelli effettivamente spesi. E se Eurostat dovesse costringere l’Italia a classificarli come debito, significherebbe obliterare le capacità di manovra del prossimo decennio. Se qualcuno ha ancora dubbi sull’impatto della grande truffa, aggiungiamo che la spesa finora accertata per il Superbonus - come notava ieri il «Foglio» - equivale due terzi dell’intero Pnrr. E forse è più opportuno chiamarlo Superbuco.