Il Superbonus 110% - sotto forma di crediti di imposta per lavori di ammodernamento e di efficientamento energetico nell’edilizia, che verranno ora ridotti dal 110 al 90% - è stato oggetto, negli ultimi anni, di una vivace contrapposizione politica. Da un lato, a sinistra, si è sostenuto che il suo costo (in effetti molto alto) viene ripagato dagli effetti che produce sulla crescita economica e la sostenibilità ambientale. Dall’altro, a destra, si ritiene che l’importo sia eccessivamente elevato per le finanze pubbliche. Così, il Governo Meloni ha deciso di darne una forte limitazione, aggiungendo la motivazione per la quale esso dà adito a evasione. Quest’ultimo è, tuttavia, un argomento secondario, dal momento che i 9 miliardi di truffe registrate nell’ultimo biennio rientrano (purtroppo) nella “fisiologia” del sistema tributario italiano.
Ricordiamo che il Superbonus si propone di accelerare la fuoriuscita dalla crisi sanitaria attraverso l’edilizia, tradizionalmente volano della crescita economica in Italia e, al tempo stesso, di favorire la transizione energetica. Le ultime indagini segnalano, però, che la sua efficacia è molto ridotta. Vediamo le principali questioni che si pongono al riguardo. E’ stato un provvedimento efficace per numerosità di edifici interessati? Secondo uno studio di qualche giorno fa della CGIA di Mestre, gli immobili interessati al Superbonus sono stati finora 372 mila in Italia e rappresentano solo il 3,1% degli edifici residenziali che, nel complesso, sono 12,1 milioni.
I residenti in Veneto sono quelli che hanno maggiormente goduto delle agevolazioni fiscali, mentre solo l’1.7% della popolazione siciliana se ne è avvantaggiata. Secondo l’Ufficio Studi di CGIA, “Questa misura ha provocato un costo in capo alla fiscalità generale spaventoso e non proporzionale al numero di edifici che sono stati “efficientati”. A fronte di 372.303 asseverazioni depositate entro il 31 gennaio scorso, lo Stato, con il cosiddetto 110 per cento, dovrà farsi carico di una spesa di 71,7 miliardi di euro. Ricordando che in Italia sono presenti quasi 12,2 milioni di edifici residenziali, l’Ufficio studi della CGIA ha ipotizzato che, fino ad ora, questa misura abbia interessato solo il 3,1 per cento del totale degli immobili ad uso abitativo. In altre parole, avendo dato la possibilità ai proprietari di riqualificare queste unità abitative con la detrazione fiscale del 110 per cento, lo Stato si è addossato un costo pari a 72,7 miliardi di euro per migliorare l’efficienza energetica di una quota ridottissima di edifici presenti nel Paese.
Ha davvero trainato la ripresa economica? Vi è da dubitare che il Superbonus sia stato così decisivo nel trainare la crescita economica nel biennio 2021-2022. Quella crescita è stata in larga misura un rimbalzo, imputabile alla fine delle restrizioni e del lockdown. Nel 2020, infatti, la popolazione italiana ha accumulato risparmi non potendo consumare ed è ciò che è successo ovunque al mondo siano state attuate misure restrittive di contrasto alla pandemia.
Va, però, segnalata una recente indagine di Nomisma, nella quale l’Istituto di ricerca quantifica l’impatto complessivo del Superbonus al 7.5% del Pil. La stessa Nomisma, tuttavia, nel riconoscere che il Superbonus ha contribuito all’efficientamento energetico e ai risparmi in bolletta, rileva che il provvedimento avvantaggia soprattutto le famiglie ricche.
Il Superbonus potrebbe ancora trainare la crescita? Sì, a condizione di renderlo più equo. Il rapidissimo cambio di marcia imposto dal Governo dà certamente l’allarme nel settore delle costruzioni, in quanto agisce sul meccanismo-chiave dei crediti esigibili e, frenando le aspettative, può produrre un brusco dietrofront. Non si agisce sul principale vulnus del provvedimento, sul quale occorrerebbe invece agire, e cioè sul fatto che la gran parte di C02 prodotta in Italia viene da edifici popolari, abitati da famiglie con bassissimo reddito. Occorrerebbe semmai rivedere la percentuale di detrazione, riducendola per le famiglie benestanti, attivando crescita in edilizia sostenibile sul piano ambientale e più equa. Le famiglie con redditi alti avvierebbero verosimilmente i lavori anche con detrazioni minori del 110%, ottenendo medesimi risultati con costi inferiori.