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Negli Usa rinasce l’economia dei sussidi, ma l’Europa è timida

 
Guglielmo Forges Davanzati

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Guglielmo Forges Davanzati

Procura Europea: opportunità o rischi per gli interessi finanziari dell'Ue?

Il Vecchio Continente è ancora ossessionato dal debito pubblico elevato di alcuni suoi membri (Italia fra questi)

Domenica 29 Gennaio 2023, 13:47

L’amministrazione Biden ha stanziato circa 700 miliardi di dollari per il sostegno all’industria americana. Si tratta del combinato dell’ormai celebre Inflation reduction act e di due altri provvedimenti dell’amministrazione Biden, pressata dal trumpismo e in linea con quest’ultimo nel sancire misure per l’America first: il Chips and Science Act, finalizzato a irrobustire la produzione interna di semiconduttori (evitando la dipendenza dall’Oriente e da Taiwan, in particolare) e l’iniziativa per l’ammodernamento delle infrastrutture del Paese.

È uno degli impegni finanziari più ingenti nella Storia recente di quel Paese, con effetti importanti per i suoi principali partner commerciali, a cominciare dall’Unione Europea. Quella di Biden è una decisione che amplifica la tendenza del capitalismo post-pandemia a produrre due esiti, di grande rilievo per comprendere le più recenti trasformazioni del capitalismo occidentale:

1) un’economia dei sussidi: il mercato non è più in grado di selezionare gli operatori e i settori più efficienti e la posizione di pressione di molte imprese fa sì che i Governi debbano intervenire per aiutare imprese in difficoltà. Si tratta del ritorno alle politiche industriali;

2) un’economia protezionistica, basata, al momento, sul protezionismo occulto, fatto, cioè, di erogazioni monetarie a imprese nazionali finalizzate anche a farle rientrare in patria.

La ratio dei provvedimenti USA sta precisamente in quest’ultima convinzione, associata alla tesi – corretta – per la quale le economie anglosassoni si stanno deindustrializzando e questa è una delle principali cause (insieme alla caduta della domanda aggregata su scala OCSE) del rallentamento del tasso di crescita della produttività del lavoro. Si reagisce, in questo contesto, provando a irrobustire la base industriale proteggendola dalla concorrenza internazionale.

La timidezza europea si riscontra nell’assenza di una politica comune di risposta agli USA: la Germania e, in misura minore, la Francia hanno inondato anch’esse il settore privato industriale di benefici monetari, stabilendo che la concorrenza è concorrenza fiscale e che va a vantaggio dei soli Paesi nei quali un forte intervento pubblico per le imprese private è possibile date le condizioni di bilancio. L’Italia è fuori da questa dinamica e rivendica la creazione di un fondo comune a tutela di tutte le imprese europee, senza distinzione di nazionalità. Il commissario belga Charles Michel ha recentemente dichiarato, in un’intervista a «Repubblica» di metà gennaio 2023, che occorre riprodurre la misura Sure (erogazione di sussidi di disoccupazione), ma senza riprodurre il Next Generation Europe e, dunque, per l’Italia, senza più poter contare sui fondi del PNRR.

L’Europa è ancora ossessionata, dopo la breve parentesi degli stanziamenti eccezionali per far fronte alla crisi sanitaria, dal debito pubblico elevato di alcuni suoi membri (Italia fra questi). La revisione in corso del Patto di Stabilità e Crescita (PSC). Uno studio recente dell’Osservatorio dei Conti pubblici italiani (novembre 2022) ha fornito una ricostruzione di questo processo, rilevando, al tempo stesso, come la nuova procedura in essere introduca alcuni elementi di novità rispetto al PSC, con l’introduzione di regole differenziate per Paese e percorsi individualizzati di rientro dal debito. Vengono rafforzati i meccanismi sanzionatori.

Nello scenario qui delineato, l’ostinazione europea contro le politiche fiscali espansive è miope e perdente. Si tratta di un retaggio del pensiero ordoliberale tedesco che, nella versione datane da Walter Euchen, stabiliva, negli anni Cinquanta, che solo l’inflazione è un problema e che la spesa pubblica contribuisce significativamente a generarla. È una teoria economica molto opinabile, dal momento che, come si sa da Keynes in poi, la spesa pubblica genera crescita e, soprattutto nel contesto della competizione con gli Stati Uniti, le politiche industriali sono fondamentali per invertire la tendenza del declino del tasso di crescita della produttività del lavoro nel continente.

Le politiche fiscali espansive, soprattutto in un mercato di grandi dimensioni come quello europeo, migliorano la competitività internazionale dei Paesi dell’Unione perché – pur accrescendo le importazioni – possono essere associate a politiche industriali e, dunque, a incrementi di produttività che riducono i costi unitari di produzione, per l’operare di economie di scala.

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