Nella relazione al congresso della Cgil di Bari, Gigia (ovviamente Gigia Bucci, ma lei ormai per tutti solo Gigia, essendosi conquistata il privilegio di essere indicata con il solo nome, come i fuoriclasse - qual è - del football) ha definito la Cgil «l’ultimo baluardo in difesa dei diritti del lavoro». È vero e sacrosanto. La CGIL, un sindacato di strada (de rua) certamente lo è, così come rischia di essere l’ultima opzione di sinistra in campo. Tanto vero che se le squadracce fasciste, ringalluzzite dal risultato elettorale, devono attaccare qualcuno, attaccano la CGIL. Se volessero attaccare qualche sede di partito devono prima cercarla su google maps.
L’ultimo baluardo, quindi. Ho conosciuto persone di ogni estrazione politica, di destra e fascistoni anche, che quando si sono visti in difficoltà non hanno esitato a ricorrere alla Cgil, riconoscendola, così, come l’ultimo baluardo. Ma lo è, soprattutto, per chi non ha altra strada, non sa più a che santo votarsi.
E se la Cgil è l’ultimo baluardo, l’avvocato della Cgil è l’ultimissimo, dove finisce tutto e non c’è più niente. L’ultima Thule, direbbe Francesco Guccini. Perché l’avvocato interviene là dove anche Sindacato non ha più margini di manovra.
Lavoro con la Cgil da tanti anni che non li quantifico per modestia, e sono di quelli che difficilmente dice di no, «non si può fare niente». Perché anche quando tutto è perduto, c’è sempre qualcosa da fare (cito a memoria Pietro Nenni, credo). E quindi, se il lavoratore è stato licenziato, se la fabbrica ha chiuso, si può sempre provare ad inventarsi qualcosa per tutelare, comunque, un lavoratore disperato. Ultimissimo baluardo, quindi, ma la situazione diventa sempre più difficile anche per i baluardi. Il contenzioso (chiamiamolo così, cioè le cause di lavoro), si è ridotto drasticamente. E non certo perché siano diminuite le ragioni del conflitto o ci siano meno diritti da tutelare. Anzi, proprio il contrario. Le condizioni dei lavoratori sono peggiorate e i diritti del lavoro vengono sistematicamente conculcati. E allora, quali sono i motivi di questo arretramento (oggettivo, lo dicono i numeri) nella tutela dei diritti dei lavoratori?
In primo luogo, e soprattutto, lo smantellamento delle garanzie normative. L’introduzione, l’accettazione, la santificazione del precariato, ha cambiato tutto. Il lavoratore che non ha un posto fisso o un contratto a tempo indeterminato, è sottoposto al continuo ricatto del termine e dell’arbitrio delle agenzie di somministrazione. È indifeso. Non è in condizioni di reagire, pena l’eliminazione dal mercato del lavoro.
Il progressivo smantellamento dell’art. 18 dello Statuto del Lavoro è stato determinante per deprivare il lavoratore dipendente dell’unica, vera tutela esistente avverso i licenziamenti illegittimi: la tutela reintegratoria.
Si aggiunge, in questa situazione, l’oggettiva debolezza, in questo scenario, del Sindacato che non può più contare su una forza operaia coesa, in fabbrica, ma deve inseguire i singoli lavoratori, spesso riluttanti a farsi assistere.
Infine la crisi della giustizia del lavoro. Lungaggini ingiustificate e ormai ingiustificabili. Sebbene le cause diminuiscano, i tempi si allungano. Chi sa decifrare questo mistero? Prima ancora di mettere mano a riforme legislative è necessario, lo sostengo da tempo, riformare la gestione degli Uffici giudiziari e anche la mentalità del sistema giustizia, affinchè siano in grado di «rendere il servizio», perché questo è il loro fine, in maniera rapida ed efficiente.
Ci sono poi anche altre concause. Anche il Sindacato, diciamo la verità, non ci crede più tanto. Non si tratta di rispolverare la via giudiziaria al socialismo degli Anni 70/80 del secolo scorso. Capisco che anche il Sindacato sia scoraggiato dai tempi e dai risultati della giustizia del lavoro, ma qualcosa si può fare. Per esempio riorganizzare gli uffici vertenze nelle Camere del Lavoro e nelle categorie, utilizzare di più i social per attività di informazione e affiliazione ovviando alle difficoltà di reclutamento in conseguenza della dispersione e frantumazione logistica della prestazione lavorativa. Ma, soprattutto, seguire e gestire di più le vertenze in sinergia con i legali e avere più fiducia nella giustizia, anche quando non la merita e negli avvocati del Sindacato, che quasi sempre la meritano.
C’è anche il problema dei costi. Il processo del lavoro non è più gratuito. C’è un contributo unificato da pagare che certo non incentiva. I magistrati usano poi a volte la possibilità della condanna alle spese di soccombenza, a fini deflattivi. Perché, per il sistema giudiziario, c’è ormai, anche a fini statistici, questa fissa. Bisogna ridurre ad ogni costo il contenzioso, pensando così di ridurre i tempi. Anche se, come abbiamo visto, non è così. Ma anche la finalità, sacrosanta, di ridurre i tempi, non può comportare la riduzione dei diritti. E soprattutto non deve essere un freno o una limitazione all’esercizio dei diritti.
Attenzione. La riduzione del contenzioso non è presupposto di maggiore efficienza. È, per prima cosa, compressione e limitazione dei diritti, soprattutto sociali, in un periodo in cui sono fortemente sotto schiaffo. I tempi, non il contenzioso, si devono ridurre attraverso l’efficienza, non con la negazione dei diritti.
Il mio non vuole essere un cahier de doléances, o il solito sfogo dell’avvocato. È - e parlo a nome dei colleghi dell’ufficio vertenze - un grido d’allarme. Se cade l’ultimissimo baluardo, vacilla anche l’ultimo.
C’è spazio però per rimboccarsi le maniche e farsi sentire. Dalla magistratura, dal governo e soprattutto operando in parlamento per mettere fuori legge la precarietà. E questo governo di destra, lasciatemelo dire, è un bersaglio più facile. Non ha la mission di «farsi carico» di tutti i problemi del mondo, come l’avevano i governi di centro sinistra, sacrificando l’interesse dell’elettorato di riferimento, i lavoratori, che così sono emigrati verso altre sponde. Può permettersi più spregiudicatezza e demagogia. E comunque, è un avversario vero. E il Sindacato ha quindi la possibilità, che è quasi un comportamento dovuto, in mancanza di altri protagonisti, di lanciare una forte battaglia, oltre che sulla lotta al precariato, sul salario minimo, su un nuovo Statuto, anche sul rafforzamento degli strumenti di tutela.
Il Congresso regionale della CGIL che si terrà a Bari il 24 e 25 gennaio con la presenza del Segretario Nazionale Maurizio Landini, spero potrà essere un’occasione per riprendere queste tematiche.