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Pedaggi autostradali, nuovi aumenti ma senza investimenti

 
Angela Stefania Bergantino

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Angela Stefania Bergantino

Pedaggi autostradali, nuovi aumenti ma senza investimenti

Nel 2018 la tragedia del Ponte Morandi aveva spinto il governo dell’epoca a bloccare di fatto per l’anno successivo gli aumenti tariffari e, nella grande ondata di sdegno che era seguita al vergognoso crollo del ponte sul Polcevera, a riorganizzare l’intero sistema

Martedì 03 Gennaio 2023, 13:33

Ripartono gli aumenti dei pedaggi autostradali. I dettagli del decreto ministeriale di San Silvestro non sono ancora disponibili ma tutto lascia pensare che, dopo quattro anni di stop, le tariffe riprenderanno a salire. Si leggono in rete cifre tra 1,5% e 3% che riguarderebbero in primo luogo Aspi, l’azienda che ha in gestione circa tre dei sei mila km delle autostrade italiane date in concessione.

Nel 2018 la tragedia del Ponte Morandi aveva spinto il governo dell’epoca a bloccare di fatto per l’anno successivo gli aumenti tariffari e, nella grande ondata di sdegno che era seguita al vergognoso crollo del ponte sul Polcevera, a riorganizzare l’intero sistema delle concessioni e del costo finale per il cittadino dei percorsi autostradali. Ora invece si riparte con lo stillicidio degli aumenti, almeno così pensa l’utente medio. Ma le cose stanno veramente in questi termini?

I contratti in essere tra lo Stato e le concessionarie autostradali sono documenti complessi e vincolanti. Prevedono piani pluriennali di investimento per la realizzazione di nuove opere, per la manutenzione (ordinaria e straordinaria) e per l’adeguamento della rete autostradale e delle infrastrutture ad essa connesse. Prevedono anche, è bene ricordarlo, clausole stringenti di controllo continuo dello stato di salute della rete: su questo, come è noto, il vertice di Aspi è stato rinviato a giudizio.

Da diversi anni tutti questi contratti e i loro adeguamenti vengono vagliati severamente a livello europeo e devono rimanere entro margini contenuti per quanto riguarda la durata, il costo-km per l’utenza e, infine, il ritorno sugli investimenti per l’azienda concessionaria. Su quest’ultimo aspetto vigila anche l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) che ha recentemente rideterminato il tasso di remunerazione del capitale investito da utilizzare nel caso delle concessioni autostradali vigenti, nonché per le nuove concessioni, riducendone significativamente gli importi. Le concessionarie autostradali non possono però essere trattate in modo verso rispetto alle altre aziende che hanno in gestione beni o reti dello Stato, ad esempio nel settore dell’energia e del gas, altrimenti corrono il rischio di essere penalizzate dagli investitori e dal mercato.

Al progetto complessivo di investimenti delle concessionarie è collegato dunque un piano di sviluppo delle tariffe all’utente, che serve a far rientrare dal costo delle opere previste e a remunerare il capitale investito. Si tratta, naturalmente, di calcoli a nove zeri, con clausole vincolanti che coinvolgono imprese con migliaia di addetti. Sospendere o dilazionare la progressione delle tariffe ha un impatto con effetti diretti sul piano economico-finanziario. Significa rinviare degli oneri che le concessionarie hanno il diritto di avere, stante i contratti in essere, e il cui posticipo comporta la corresponsione di interessi. Il loro credito matura comunque.

La durata lunghissima di tali contratti di concessione si scontra però con la durata spesso assai limitata dei governi e dei ministri dei trasporti. Può risultare, cioè, relativamente facile e vantaggioso, in termini di consenso, sospendere gli aumenti dei pedaggi e dilazionare la scaletta della loro progressione. Ciò, oltretutto, comporterà per il successore al dicastero, soprattutto se dovesse essere di colore politico diverso, lo sgradevole compito di passare come il «ministro degli aumenti delle autostrade».

Insomma, la questione delle autostrade e il peso considerevole che hanno sulla vita e sulle tasche dei cittadini richiederebbero considerazioni scevre dalla demagogia, cosa che non è successa quasi mai negli ultimi anni. Si preda per esempio il caso di Aspi. Dopo ventidue anni di controllo da parte della famiglia Benetton, la vecchia Autostrade per l’Italia S.p.A. è tornata in mano pubblica e il partner che di fatto ne controlla il capitale sociale è la pubblicissima Cassa Depositi e Prestiti (vale a dire, in origine, i depositi postali degli italiani). Il governo, quindi, ha di fatto sbloccato gli aumenti previsti nel piano economico-finanziario di Aspi, immaginiamo, anche perché dilazionarli ulteriormente avrebbe significato un aggravio di costi che lo Stato avrebbe finito per pagare allo Stato…

Le autostrade italiane costano, costano in media più che in altri Paesi europei (che hanno condizioni orografiche migliori delle nostre). A questo costo devono però corrispondere investimenti effettivi e necessari, di qualità, e soprattutto verificabili. Tanto più per quanto riguarda la sicurezza.

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