Dalla guerra in Ucraina continuano a provenire scene drammatiche. La domanda rimane se si possa rilanciare il livello diplomatico per il cessate sul fuoco. Più che di un auspicio, si tratta di una necessità. Intanto perché su un fronte e sull’altro si contano 200 mila morti; d’altro canto perché l’effetto delle sanzioni è economicamente e socialmente destabilizzante anche nei nostri Paesi. Del resto non si possono non scorgere i fili di dialogo che si discutono in ambienti politici e militari Usa, che si sono affrontati al G20 fra Biden e Xi Jinpig. Qualcosa si muove, purtroppo non da parte della UE.
La quale è giunta ad un punto direi di criticità strutturale della sua architettura istituzionale e del suo ruolo nel nuovo assetto geopolitico del mondo. I processi in atto dicono di una divaricazione crescente fra i Paesi che dalla Scandinavia giungono a Mar Nero e quelli che definiremmo della Europa occidentale .
Con l’allineamento dei primi alla primazia Usa-Nato, con il riarmo della Polonia e la sua richiesta di risarcimento dei danni di guerra alla Germania (1330 miliardi di euro). E con la Germania che, rimanendo saldamente nella Alleanza Atlantica, pur tuttavia da sola ha per prima riannodato rapporti diplomatici e commerciali con la Cina. La stessa presidente Meloni al G20 ha dato luogo a confronti aperti. Ma nel complesso la UE è ferma. Se questi sono i processi in corso, segnati a diverso grado da un forte vento nazionalista è facile prevedere il pericolo del suo declino. E in questo scenario il declino «dei vasi di coccio» come l’Italia dello sviluppo duale .
Allora è il momento di un profondo ripensamento dei fini, della architettura istituzionale, del ruolo non più eurocentrico della UE. La presidente del Consiglio del nostro Paese Giorgia Meloni risponde al tema con la proposta di una Grande Riforma a favore di una Confederazione di Stati nazione. L’obiezione è che di fronte alle sfide epocali nessuna «nazione» è in grado di farcela da sola. E che in questa ipotesi c’è sempre un nazionalismo più forte di altri, e non è il nostro. Del resto anche sul fronte europeista la risposta federalistica degli Stati Uniti d’Europa è da mettere a revisione .
Come analizza un più recente filone di pensiero non c’è un «demos» europeo. Non c’è unico popolo europeo. In questa prospettiva, nel frattempo, assai pertinenti e attuali sono alcune proposte in campo e altre da mettere in agenda .
La prima è la proposta avanzata dal Presidente francese Macron al termine della Conferenza sul Futuro della Unione. Quella di non affrontare ora l’ingresso immediato di Ucraina e Balcani nella Ue, costruendo come transizione una Comunità politica fra Ue e questi Paesi. Cosi da accompagnarli con adeguati finanziamenti a processi di adeguamento agli standard fiscali e del mercato del lavoro, come vigono in altri Paesi UE.
Altrettanto necessaria è mettere in cantiere la cosiddetta Cooperazione rafforzata, prevista dai Trattati e sperimentata con l’euro, fra Paesi che decidono volontariamente di mettere in comune politiche fiscali, del nuovo Welfare (istruzione, sanità come nel Covid, salario minimo) della sicurezza e della difesa, della ricerca sulle nuove tecnologie, gestioni dei flussi migratori. Sono i terreni della competizione globale . Non è percorso agevole. E tuttavia per un Paese fondatore come l’Italia è una strada obbligata, da percorrere prioritariamente pur controvento con Germania , Francia e Spagna. Ed è una chance unica per il nostro Mezzogiorno immerso nel Mediterraneo - e qui insediatasi la presenza di Cina, Russia, Turchia - troverebbe cosi in una funzione euromediterranea un ruolo da coprotagonista fra sistemi delle due sponde, infrastrutturali e agroalimentari in primis.