Una beffarda coincidenza fa sì che proprio mentre il Consiglio regionale della Puglia discute delle emergenze del Foggiano, uno dei protagonisti delle lotte per i braccianti della Capitanata sia finito nel mirino delle polemiche per via di ciò che sarebbe accaduto nelle cooperative gestite dalla madre della compagna. È diventato virale sui social il video in cui Aboukabar Soumahoro prima piagnucola («Che cosa vi ho fatto?») e poi attacca citando nientemeno che Martin Luther King. Ora, con il massimo rispetto per Soumahoro, parlamentare della Repubblica candidato in Puglia ed eletto a Modena, il micidiale cortocircuito politico-mediatico in cui è finito dovrebbe insegnare qualcosa pure a lui.
È infatti lecito porsi almeno una domanda. Da settimane i mezzi di informazione riferiscono delle (presunte) irregolarità che si sarebbero verificate in una cooperativa di migranti a Latina, tra stipendi non pagati, maltrattamenti, fatture false e gente tenuta in nero. Sembrerebbero irregolarità gravi, confermate da più fonti coincidenti e contenute in un esposto della Uil che ha indotto la locale Procura ad aprire un’inchiesta, al momento senza indagati. Viene da chiedersi cosa avrebbe detto il sindacalista Soumahoro contro un «padrone» che dimentica di pagare gli stipendi, tiene i lavoratori al freddo e utilizza modi che appaiono, francamente, ingiustificabili. Nel video che ha invaso i social, l’esponente di Sinistra Italiana ricorda che la sua vita «è stata caratterizzata dalla lotta contro qualsiasi forma di sfruttamento». Ed ecco il corto circuito: lui si dichiara paladino dei deboli, ma ora che il (presunto) sfruttamento è stato ricondotto alla responsabilità (presunta) di sua suocera, Soumahoro riduce tutta la vicenda a livello di complotto e la butta in bagarre.
Non funziona e non può funzionare così. Lo stesso Soumahoro, nel suo recente passato da militante Usb (Unione sindacale di base), ha lottato senza quartiere contro i caporali, ha urlato contro la vergogna dei ghetti che «accolgono» (per modo di dire) migranti di ogni colore, ha insomma più volte segnalato casi come quello che potrebbe riguardare la cooperativa Karibu gestita dalla suocera e in cui lavorava, al tempo, anche la compagna che della coop era consigliere.
Nonostante abbia mantenuto gli stivali sporchi di terra, il nostro ha varcato le porte del Parlamento con i suoi privilegi (dovuti). Ma tra gli inevitabili oneri che il suo nuovo ruolo comporta, c’è anche lo scrutinio dell’opinione pubblica che a volte può arrivare fin dentro il tinello di casa.
Il Paese ha discusso per mesi della cuccia del cane della Cirinnà, del curriculum dell’avvocato Giuseppe Conte, del titolo di studio della ministra Valeria Fedeli e più di recente dell’addetto stampa in nero della sottosegretaria Bellanova. Polemiche feroci innescate senza che questi fatti fossero reato ma, al più, costituissero peccato, a volte quello più grave per chi si affaccia alla vita pubblica. Ovvero l’incoerenza che spesso sconfina nella doppia morale.
Il confine tra pubblico e privato è tanto più labile quanto più si vive sotto i riflettori, e la critica è meccanismo democratico soprattutto quando fa emergere quelle che appaiono come insanabili contraddizioni. Nessuno pensa di seppellire lui o le sue idee, come pure Soumahoro ha detto in preda a un vittimismo cosmico. Un’esibizione che non serve, è controproducente ed è a tratti grottesca. Né tanto meno è necessario scomodare Giuseppe Di Vittorio per ricordare che esistono esempi di sindacalisti rimasti sempre, orgogliosamente, dalla stessa parte. Ma qui viene in soccorso un altro socialista, Pietro Nenni: «Chi gareggia a fare il puro, troverà sempre uno più puro che lo epura». Vale anche per l’onorevole Soumahoro, nonostante i suoi stivali sporchi di terra.